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Il Carnevale in Sardegna

Il Carnevale in Sardegna

Bonorva
E' già nell'aria l'edizione delle "Pariglias Bonorvesas" che da qualche anno chiudono il carnevale a Bonorva, cittadina del sassarese. A dare il via è "S'Asone de Carrasegare"(il capocorsa).
Questo nome così strano deriva da un'antica pratica contadina. Gli agricoltori per la pulitura e la raccolta dei cereali predisponevano le Aie ("Sas Alzolas"), spazi pianeggianti e puliti, sulle quali venivano sistemati in maniera concentrica i fasci di spighe. Al centro c'era un palo ("S'Asone") al quale veniva agganciato un cavallo guida legato con una fune ad altri esemplari che, guidati in senso rotatorio, trascinavano le lastre di pietra basaltica per frantumare il grano o altri prodotti.
L'evento è stato da sempre organizzato dall'Associazione S'Ischiglia che provvederà ad apporre sulla facciata della casa dell'Asone una targa raffigurante una chiesa e tre cavalieri in pariglia. Corse equestri acrobatiche saranno eseguite dai cavalieri lungo il corso Umberto I ricoperto di sabbia e delimitato da barriere per l'occasione.

Bosa
Il Carnevale di Bosa, chiamato ancora oggi Karrasegare, dalle informazioni ricavate dalla letteratura e dalle inchieste sul campo, poteva iniziare in due date diverse: o per Capodanno o con la festa di S'Antonio Abate.I giorni più significativi della festa erano e sono compresi tra la settimana che precede quella del giovedì grasso e l'ultimo giorno del Carnevale.
Il "Lardazholu" (laldaggiolu) è la festa che precede quella del giovedì grasso. Nei primi giorni della settimana gruppi di amici e parenti organizzano la questua per il cenone di Lardazholu. La mattina e la sera del giovedì, gruppi in maschera (spesso estemporanea) girano per la città visitando amici e parenti cantando "Muttettus a trallallera", chiedendo e ricevendo in cambio "Sa palte 'e cantare", derrate alimentari di ogni genere, buone per il cenone nel quale le maschere gozzovigliano allegramente.
Da qualche anno nella sera del sabato che precede il martedì grasso conclusivo, viene organizzata, nella via Carmine, ai piedi del quartiere medioevale di "Sa Costa", la così detta "Festa delle Cantine", iniziativa che, grazie alla ospitalità dei proprietari che offrono a tutti i convenuti vini e piatti tipici locali, ha un successo in crescita.
La domenica mattina proseguono le degustazioni di pesce e frittelle con il contorno di maschere e musica. In questi giorni si cantano le salaci canzoni, composte appositamente per il Carnevale, con le quali si dileggiano coloro i quali nel corso dell'anno si sono "macchiati" di azioni particolarmente clamorose; spesso sono gli amministratori ad essere oggetto delle frecciate in versi.
Il "martedì grasso" rappresenta il culmine dei festeggiamenti. S'inizia la mattina con il lamento funebre de S'Attittidu. Le maschere indossano il costume tradizionale per il lutto: gonna lunga, corsetto e ampio scialle nero; ogni maschera porta in braccio una bambola di stracci o qualcosa di simile che spesso ha un riferimento al sesso. Le maschere, con voce in falsetto, emettono un continuo lamento, S'Attittidu appunto, e chiedono unu Tikkirigheddu de latte per ristorare il bambino che è stato abbandonato dalla madre dedita ai bagordi del Carnevale.
La notte del martedì tutti indossano la maschera tradizionale bianca (solitamente un lenzuolo per mantello e una federa per cappuccio), per cercare il Giolzi Moro. Il Giolzi era ed è la caccia al Carnevale che fugge e si nasconde nel sesso; I Giolzi cercano Giolzi illuminando con un lampioncino la parte puberale delle persone che incontrano gridando: Giolzi! Giolzi! Ciappadu! Ciappadu! (l'ho preso).
La festa si conclude con i roghi che bruciano enormi pupazzi nelle vie e nelle piazze del centro della città.
www.bosa.it

Fonni
Il carnevale di Fonni è caratterizzato dalle antiche maschere de s'Urthu e sos Buttudos che rappresentano la lotta quotidiana dell'uomo contro gli elementi della natura. S'Urthu è vestito di pelli di montone o di caprone di colore bianco o nero, ha un grosso campanaccio legato al collo, la faccia annerita dal sughero carbonizzato ("s'inthiveddu"), ed è tenuto al guinzaglio con una rumorosa catena di ferro. Sos Buttudos indossano un cappotto di orbace sopra abiti di velluto, scarponi e gambali di cuoio, sulle spalle i campanacci ("sonaggias").
S'Urhtu, l'orso, lotta continuamente tentando di liberarsi dalle catene, aggredendo uomini e cose che incontra sul suo cammino, arrampicandosi dappertutto, sugli alberi e sui balconi, aizzato ad avventarsi sulla gente e soprattutto sulle ragazze che subiscono le sue esuberanze, mentre sos Buttudos tentano di domarlo.
Oltre a s'Urthu e sos Buttudos, maschere maschili, sono protagoniste del carnevale fonnese sas Mascaras Limpias. Impersonate sia da uomini che da donne, sas Mascaras Limpias rappresentano l'eleganza e la bellezza, indossano parti del costume tradizionale fonnese femminile: "su vardellinu" (la gonna), "su brathallu" (la camicia bianca) e "su cippone" (una giacca di panno o broccato), portano in testa un cappello di paglia o di cartone coperto con tovaglie ricamate e ornate da nastri variopinti ("sos vroccos") e un velo sul viso ("sa facciola").
Sas Mascaras Limpias sono accompagnate da su portadore, il garante delle maschere, perché, per non essere riconosciute e per non rivelare il sesso, non parlano e si coprono completamente, indossano anche dei guanti. Spesso sono accompagnate dai suonatori di organetto e invadono le vie del paese al ritmo dei balli e canti tradizionali, eseguendo in particolare la danza fonnese.
L'ultimo giorno di carnevale, "martis de coa", entra in scena su Ceomo, pupazzo antropomorfo con una maschera, scarpe e guanti, imbottito di paglia e di stracci.
Seduto su una sedia e portato a braccia, è condotto per le vie del paese da un corteo di maschere che cantano versi in rima deridendo personaggi e alludendo ad avvenimenti locali. Su Ceomo subisce un processo in piazza e, infine, viene messo al rogo mentre gli uomini travestiti da donna intonano un lamento funebre, "su teu", accompagnato da "battorinas" e "muttos" (canti tradizionali sardi) augurandosi che con il fantoccio brucino tutti i mali che affliggono la popolazione.
Il carnevale inizia il 16 gennaio in occasione di Sant'Antonio quando, un'ora prima della messa, durante su pispiru (il vespro) si accende un unico grande fuoco. Dopo la funzione religiosa, il prete accompagna la statua di Sant'Antonio in processione, compiendo tre giri intorno al fuoco e benedicendo sia il falò sia il pane in "sappa", tipico dolce di questa festa, preparato dal priore e offerto ai presenti dopo la cerimonia. Infine, entrano in scena le maschere tradizionali fonnesi, s'Urthu e sos Buttudos.
www.urthosebuttudos.it

Gavoi
Il carnevale di Gavoi inizia il giovedì grasso, "jobia lardajola" (così chiamato perché in questa occasione si preparavano le fave con il lardo), con "sa sortilla 'e tumbarinos", il raduno di centinaia di tamburini. Gli strumenti sono costruiti interamente a mano con pelli di capre e pecore; anticamente si adoperavano anche le pelli di cane o d'asino. Per la realizzazione dei tamburi si riutilizzano i setacci per la farina o le forme in legno per il pecorino o i vecchi secchi di sughero usati per la mungitura e per cagliare il formaggio ("sos malùnes") o i grandi contenitori per conservare il grano ("sos majos").
Gli adulti e i bambini sfilano indossando il tipico abito di velluto e calzando scarpe chiamate "sos cosinzos" e "sos cambales". Il corteo si snoda per le vie del centro del paese con i tamburi che suonano all'impazzata, accompagnati da "su pipiolu", il piffero di canna, "su triangulu", il triangolo di ferro battuto, "su tumborro", una serraggia, strumento composto da una vescica di animale essiccata, rigonfiata come cassa di risonanza che viene fatta vibrare da una corda come se fosse un violino. Il carnevale di Gavoi pone la musica al centro della festa, non è importante il travestimento o il mascheramento, "su Sonu", il suono, è la maschera.
La notte di martedì grasso il fantoccio del re di carnevale, Zizzarone, viene bruciato per dare l'addio alla festa, a volte sul rogo finiscono anche i pupazzi che rappresentano la moglie Marianna Frigonza e il figlio Marieddu.
Il carnevale termina all'alba del mercoledì successivo, quando "sos intinghidores" con del sughero bruciato disegnano una croce sulla fronte dei partecipanti.
Il suono delle campane, "su toku de sa ritiru", segna la fine del carnevale e l'inizio della Quaresima.
www.sardegnacultura.it/grandieventi/carnevale/gavoi.html

Guspini
Il Carnevale viene organizzato dalla PRO LOCO fin dal 1992, con l'obiettivo di far rinascere a Guspini una tradizione in altri tempi molto viva e che era un momento di divertimento e di aggregazione per tutti.
La manifestazione nel tempo è cresciuta d'importanza fino a coinvolgere migliaia di ragazzi che, organizzati in gruppi via via sempre più numerosi, contribuiscono a dar vita ad un Carnevale importante, in grado di richiamare a Guspini tanti visitatori.
Di anno in anno è stata perfezionata la tecnica di costruzione dei carri e la struttura coreografica.
Le sfilate sono aperte dal Gruppo Argonauti, un'associazione culturale di Guspini che sta riproponendo l'antica maschera tipica guspinese "cambas de linna".
Da diversi anni viene organizzato un raduno chiamato "CARNEVALINAS" che vede la partecipazione di carri allegorici provenienti da tutte le province sarde.
www.prolocoguspini.it

Lodè
A Lodè, piccolo centro situato tra i territori della Barbagia e delle Baronie ai piedi del Monte Albo nella costa orientale dell'Isola, ha luogo un carnevale caratterizzato dalla sfilata di maschere tipiche: Sas Mascaras Nettas e Sas Mascaras Bruttas.
IGrazie alle testimonianze tramandate dagli anziani, da alcuni anni il paese ha operato un recupero dell'antico Carnevale.
In particolare sas Mascaras Nettas (maschere pulite) sono mute e, pur indossando indumenti sia maschili che femminili, possono essere rappresentate solo da uomini. L'abbigliamento è composto da "sa kamisa", "sas kalzas biancas" e "sa berritta" (camicia, calze bianche e copricapo), elementi propri del costume maschile e da "su kuritu", "su zakru" e "su mukkatore" (corsetto e fazzoletto) caratteristici invece dell'abbigliamento femminile. Particolarmente originali sono il variopinto corpetto, indossato al contrario, e il copricapo tradizionalmente riempito di stracci o di carta ed abbellito da un ampio scialle, le cui frange vengono lasciate scendere fino a coprire il volto. Un ulteriore mukkatore viene legato in vita, facendo cadere le frange sulla parte superiore delle gambe.
Sono maschere intrise di storia e di cultura che si presentano belle ed eleganti; fin dalle origini la loro azione ha la duplice funzione di enfatizzare gli usi e i rituali quotidiani da un lato e di rendere leciti alcuni comportamenti trasgressivi dall'altro.
Nella tradizione lodeina, sas Mascaras Nettas, girano in coppia accompagnate da su Marrazzaju (il suonatore di campanacci) con lo scopo di "arrestare" una persona di volta in volta individuata tra la folla. Se viene seguito un uomo, questo deve tentare di fuggire fino a casa o fino ad un determinato traguardo e se ci riesce può considerarsi libero. Viceversa, se viene individuata una donna, inizia un rituale che è da considerarsi un grande onore. Infatti, mentre sas Mascaras Nettas si fermano a qualche metro dalla ragazza, su Marrazzaju, agitando i campanacci, le fa tre giri intorno e le si ferma davanti inchinando la testa in segno di apprezzamento. A quel punto la prescelta viene presa sottobraccio ed accompagnata dalle tre maschere fino a casa, dove offre loro vino e dolci, prima di essere riaccompagnata nel medesimo punto in cui era stata prelevata.
Altra figura caratteristica del Carnevale lodeino è su Maimone, fantoccio fatto di stracci, paglia, sughero e altri materiali al cui interno è inserita una damigiana collegata alla bocca da una pompa di gomma. A seconda delle dimensioni, due o quattro persone conducono il fantoccio di casa in casa per raccogliere al suo interno il vino che successivamente sarà bevuto in piazza da tutta la comunità in festa. La tradizione popolare considera su Maimone simbolo di abbondanza, pertanto la gente del paese è lieta di contribuire al riempimento della damigiana nella speranza di una ricca produzione di buon vino locale per l'anno successivo.
Storia dell'evento
Secondo alcune testimonianze, fino alla fine del Settecento molte maschere barbaricine presentavano ancora caratteristiche tipiche della tradizione pagana.
Alcune, in luogo dei campanacci, avevano legate sulle spalle ossa di animali che producevano un suono cupo quando venivano agitate, altre portavano sul capo la testa di una capra o di un cervo; tutte, in osservanza del culto dionisiaco, attraverso Su Maimone raffiguravano la morte della vegetazione seguita dalla rinascita con la vita che perennemente si rinnova.
Lodè, come altri paesi sardi, era caratterizzato in particolare dalla presenza di Sas Mascaras Bruttas, travestimento di gran parte della popolazione che si ricopriva di stracci e di vecchi abiti.
Durante il processo di evangelizzazione della Sardegna centrale, la Chiesa vietò, pena la scomunica, i travestimenti in forma animalesca collegati a Dioniso Mainoles. Fu così che in alcune località sarde iniziarono a sorgere le cosiddette Mascaras Nettas in contrapposizione alle Mascaras Bruttas
www.sardegnagrandieventi.it

Lodine
Il Carnevale di Lodine si svolge il Mercoledì delle Ceneri (Merhulis de Lessia) e il protagonista del Carnevale è un fantoccio con una maschera di legno, scolpita da un artista locale, avente le fattezze o di un personaggio della comunità che durante l'anno si è distinto per un comportamento non ben accetto dal paese, oppure di un personaggio nazionale o internazionale che si è messo in evidenza con connotazioni negative.
Il fantoccio è accompagnato da un corteo formato da un numeroso gruppo di uomini, per la maggior parte travestiti da vedove con gli abiti tradizionali locali, con il viso dipinto di nero che inscena una sorta di funerale. Sas Umpanzias vanno in giro con una maschera fatta di sughero che rappresenta un politico o un personaggio del luogo, sono vestiti di nero e si tingono il viso con il carbone.
Sas Umpanzias durante il corteo portano il fantoccio, deriso e sbeffeggiato, di casa in casa dove si offre alla comitiva vino, pane, dolci e altri cibi (per lo più salumi) che arricchiranno il banchetto allestito in occasione del processo in seguito al quale il fantoccio sarà condannato al rogo.
Secondo la tradizione solo la maschera di legno sarà salvata dalle fiamme, per essere conservata ed esibita nelle sfilate dei carnevali successivi.
www.sardegnacultura.it

Lula
La maschera protagonista del carnevale di Lula è su Battileddu, la vittima. È vestito di pelli di pecora o montone, ha il volto sporco di fuliggine e di sangue e la testa coperta da un fazzoletto nero femminile, porta un copricapo con corna caprine, bovine o di cervo tra le quali è sistemato uno stomaco di capra ("sa 'entre ortata"). Sul petto porta i "marrazzos" (campanacci), sulla pancia seminascosto dai campanacci porta "su chentu puzone", uno stomaco di bue pieno di sangue e acqua, che ogni tanto viene bucato per bagnare la terra e fertilizzare i campi.
Su Battileddu è seguito nel suo cammino dai Battileddos Gattias, uomini travestiti da vedove che indossano gambali maschili. Queste maschere cullano una bambola di pezza che porgono alle ragazze tra la folla chiedendo di allattarla, mentre intonano "sos attitos", canti funebri in onore della vittima del carnevale. Durante la sfilata le Gattias, sedute in cerchio e dopo avere "obbligato" qualcuno del pubblico ad unirsi al gruppo, fanno il gioco del "pizzica ma non ridere" (pitzilica e non rie), passandosi l'un l'altro un pizzico senza ridere per non pagare il pegno che solitamente consiste nel versare da bere.
Il corteo è seguito anche da sos Battileddos Massajos, i custodi del bestiame, vestiti da contadini, in questo caso "custodi della vittima". Hanno il viso imbrattato di fuliggine e portano pungoli e "socas", funi di cuoio con le quali legano la vittima per percuoterla ripetutamente, strattonarla, trascinarla, fino a farla morire.
Due Battileddos Massajos vengono aggiogati come buoi e tirano il carro durante la rappresentazione. Su Battileddu, considerato pazzo, è tenuto legato e fermo dai Battileddos Massajos, mentre gli spettatori tentano di pungere su chentu puzone per far uscire il sangue con il quale s'imbrattano il volto. Quando la vittima cade per terra qualcuno grida "l'an mortu, Deus meu, l'an irgangatu!" (l'hanno ucciso, Dio mio, lo hanno sgozzato) ma basta un bicchiere di vino per rianimarla. Le vedove inscenano il funerale con gesti e lamenti scurrili.
Poi su Battileddu viene posto su un carro per rappresentare la rinascita, ora inizia la festa.
www.sardegnacultura.it

Mamoiada
Tra le feste popolari più antiche e ricche di folclore della Sardegna è il Carnevale di Mamoiadino, un Carnevale semplice, povero, se per povertà s'intende la mancanza di sofisticati carri allegorici in cartapesta o altri moderni mascheramenti, ma tra i più suggestivi e autentici. Il paese si riversa nella piazza principale per ballare i tradizionali passu torrau e sartiu, al suono dell'organetto, per ore ed ore, instancabilmente. Nulla è artificiale o di importazione esclusi, naturalmente, i visitatori forestieri e turisti che ogni anno giungono sempre più numerosi da ogni parte del mondo per assistere a questo genuino spettacolo.
Uomini e donne indossano il tradizionale costume, sfilando e ballando offrono a tutti i dolci tipici locali. Ma la maggior attrattiva, l'attenzione di tutti viene richiamata dalla sfilata dei Mamuthones e Issohadores che sono il simbolo di questo Carnevale e, con il loro procedere e la loro "musica" ritmata, trascinano e coinvolgono la folla. Si spostano come vogliono senza interrompere la compostezza dei loro movimenti, della danza, sono loro i veri padroni del Carnevale. "Senza Mamuthones non c'è Carnevale" dicono gli abitanti di Mamoiada.
www.mamoiada.org

Ollolai
Il carnevale di Ollolai è reso particolarmente suggestivo dalla presenza di numerose maschere tradizionali: sos Bumbones. Nello specifico sos Truccos o sos Turcos sono avvolti in un telo di pizzo bianco, "inghirialettu", in passato utilizzato per ricoprire i piedi del letto ove giaceva il defunto prima della sepoltura, e portano sulle spalle su mantella rubia, uno scialle ricamato in rosso, viola e blu che per tradizione veniva usato per avvolgere il neonato durante il battesimo. Il capo e il volto sono coperti da un pesante pizzo sul quale si fissa una cuffietta con frange detta "capiale'e fronzas"; alcuni Truccos indossano anche una maschera di porcellana bianca. Questo abbigliamento, dove predominano il rosso e il bianco, colori tipici del costume sardo, ha un carattere fortemente simbolico, rappresentando il ciclo della vita: la morte della natura in inverno e la sua rinascita in primavera.
Altra maschera caratteristica del carnevale ollolaese è sa Marizzola, figura femminile vestita con una gonna di panno rosso scuro, "su bardellinu", una blusa bianca ricamata a mano e un particolare corpetto, "sas palas", lasciato in vista sopra la camicia e decorato con filo dorato ed argentato. A coprire il capo un fazzoletto ricamato con fiori in rilievo, "su muccadore froreau", mentre sul viso è posto un velo di tulle o, in alternativa, una maschera di cartapesta.
Nella tradizione ollolaese poi le figure femminili di Maria Vressada, cosi chiamata in quanto avvolta in un copriletto, Maria Ishoppa e sa Mamm'e e su Sole rappresentano tre maschere spauracchio che spaventano i bambini capricciosi.
Caratteristica figura maschile è invece su Caprarju vestito con casacca e pantaloni aderenti di panno o di velluto, camicia bianca alla coreana, berretto, "su bonette", sopra il quale è legato un fazzoletto che regge una maschera di legno, e scarponi in pelle di "sos cambales". Il personaggio rappresenta i ballerini più agili, tant'è che incrociato sul petto porta un insieme di piccoli campanacci lasciati suonare allegramente durante le danze organizzate oltre che nelle piazze, anche nelle sale da ballo.
Recentemente la comunità di Ollolai ha attuato un vero e proprio recupero della tradizione carnevalesca concentrando lo svolgimento della festa, delle sfilate e delle rappresentazioni sceniche soprattutto nelle ore pomeridiane anziché in quelle notturne.
Sempre dal passato, deriva l'usanza dei Truccos, riuniti in gruppi detti "sas troppas de harassehare", di girare di casa in casa visitando, tra le altre, anche le abitazioni degli anziani e dei malati per condividere l'allegria del carnevale. Nel loro girovagare Sos Truccos portano per le vie cittadine su Ziomu, un manichino di paglia e vecchi abiti, il cui viso è costituito da un telo su cui sono disegnati gli occhi e la bocca. Vestito con un cappotto nero d'orbace, il fantoccio nasconde al suo interno una sacca di salsicce e "sa gruppa", una botte colma di vino; vino che viene consumato durante i festeggiamenti caratterizzati da canti e balli al suono di tipici strumenti quali "su tumbarru", il tamburo grande, "su sonu", piccola fisarmonica o organetto, "sa trumbia", l'armonica a bocca, "sa trunfa", lo scacciapensieri, "su sonette", una sorta di flauto fatto di canna, e "sos hopprettos", i coperchi delle pentole. La tradizione di su Ziomu , oggi in parte recuperata, vuole che il fantoccio, a tarda sera venga portato alla periferia del paese, processato e condannato al rogo segnando così la fine del carnevale e l'inizio della Quaresima.
www.sardegnacultura.it/grandieventi/carnevale/ollolai.html

Olzai
Il carnevale di Olzai ha la particolarità di proseguire oltre la tradizionale data di chiusura delle manifestazioni carnascialesche: i festeggiamenti si protraggono, infatti, fino alla domenica successiva.
Dalla domenica di carnevale fino al mercoledì delle Ceneri e poi anche la domenica della Pentolaccia, le strade del paese vengono percorse da vivaci sfilate di maschere.
Protagoniste del carnevale di Olzai sono tre diverse maschere, dietro le quali in origine si celavano solo uomini:
Sos Intintos. Caratteristici del mercoledì delle Ceneri, sono vestiti con "zippone e antalera", hanno i visi imbrattati di nero sono travestiti da vedove a lutto per la morte del carnevale.
Sos Murronarzos. Indossano abiti d'orbace e campanacci; usano imbrattarsi il viso col sughero bruciato, originariamente lo coprivano con autentici musi di porco o di cinghiale, oggi sostituiti da maschere di legno. Sfilano sempre in coppia. La maschera, scomparsa all'inizio del Novecento, forse per il comportamento eccessivamente violento, è stata recuperata in questi ultimi anni.
Sos Maimones. Mezzo uomini e mezzo fantocci dalle fattezze femminili, hanno quattro braccia, quattro gambe e due teste. Sono maschere particolarmente allegre ed esplicite che personificano la fertilità umana.
Il carnevale è caratterizzato dalla partecipazione spontanea della popolazione, le maschere ballano in piazza le danze sarde ed entrano nelle case, accompagnati da "su portedore", l'unico personaggio a viso scoperto che garantisce per le altre persone rese irriconoscibili dalle maschere.
La sera del mercoledì delle Ceneri si brucia in piazza il personaggio - fantoccio Zuanne Martis Sero così chiamato perché nasce il martedì sera. Anticamente si trattava di un uomo che veniva "catturato" durante la notte, legato ad una scala e portato di casa in casa, dove veniva costretto a bere laute quantità di vino, oggi sostituito da un fantoccio che dopo essere stato sottoposto ad un vero processo si brucia la sera del mercoledì.
www.sardegnacultura.it

Oniferi
Le celebrazioni del Carnevale ad Oniferi, come in altri paesi della Barbagia, hanno inizio il 17 gennaio, in occasione della festa di Sant'Antonio. Nei rioni del paese vengono accesi falò in onore del Santo mentre in piazza hanno inizio i tradizionali balli.
Protagonisti del carnevale oniferese sono "sos Maimones" maschere tipiche che, a differenza di altri personaggi dei carnevali barbaricini, non coprono il viso con travestimenti lignei ma lo rendono irriconoscibile annerendolo con la fuliggine ricavata dal sughero bruciato. Durante il XX secolo la maschera ha assunto un carattere goliardico, pertanto si incontrano anche Maimones con il volto solo parzialmente dipinto.
Momento particolarmente suggestivo è la vestizione di "sos Maimones" che si svolge all'interno dell'antica capanna utilizzata dai pastori, detta "su pinnetu", costruita in pietra con un caratteristico tetto di frasca.
La figura maschile indossa l'abito tipico del pastore sardo in velluto nero, marrone o comunque scuro con camicia bianca senza colletto, "cambales", scarponi in pelle e su bonette, ovvero un cappello in velluto, preferibilmente di piccole dimensioni, tradizionalmente portato pendente a lato della fronte. Completano l'abbigliamento altri capi, sempre tipici della cultura agro-pastorale, quali: "su saccu'e fresi" o "furesi" (mantella con cappuccio tessuta in orbace, stoffa, quest'ultima, ottenuta dalla tessitura fine della lana degli ovini), "su gabbanu" (pesante pastrano anch'esso in orbace) o, in alternativa, "sas peddas" (pelli di montone o agnello lavorate con o senza pelo).
La figura femminile, necessariamente impersonata da soggetti maschili, integra l'abbigliamento con scialli o "su freseddu" (piccola mantella in orbace priva di cappuccio) ed ancora con gonne e "su muccadore nigheddu" (fazzoletto nero) che viene legato sul tipico berretto.
Dopo la benedizione del fuoco e l'accensione dei falò, le maschere fanno il giro del paese portando in groppa ad un asino un fantoccio antropomorfo, a rappresentare l'uomo che fatica nei campi, il cui viso è costituito da una foglia di fico d'india fissata su una damigiana o in "sa lama'e su latte" (contenitore metallico sagomato per facilitare il trasporto del latte sulla groppa degli asini) entrambi ricoperti da un mantello d'orbace ("su saccu").
Spesso anche l'asino viene mascherato con corna di diverse dimensioni.
La maschera di su Maimone gira di casa in casa accettando la genuina ospitalità sarda e caricando "sas bertulas", bisacce tessute in orbace, di ricchi dolci carnascialeschi quali: "cathas" (frittelle), "rujolos" (dolcetti a base di ricotta soffritta, simili a piccole polpette) e ogni altra leccornia che, insieme al vino versato nella damigiana raffigurante il fantoccio Maimone, possa servire a far festa. Tradizionalmente vengono visitate anche le abitazioni in cui vivono persone in difficoltà per rallegrarne l'atmosfera.
Successivamente, in piazza, tra un ballo e l'altro al suono dell'organetto a bocca o a mantice accompagnato dal canto a tenores, il cibo viene consumato da tutta la comunità.
Il Carnevale oniferese è caratterizzato dalla messa in scena, per le vie del paese, di una serie di situazioni della vita reale: le difficoltà, la sofferenza e la morte sono interpretate da "sos Maimones" ridicolizzandole al fine di scongiurarle.
Tra le situazioni rappresentate si ricorda "sa parthi burra" (divisione della coperta matrimoniale attraverso la rappresentazione di una sorta di separazione coniugale in cui, inscenando uno scandalo per strada, si divide, per l'appunto, il misero avere in orbace); "s'ammuttu" (tradizionale canto per il morto eseguito dalle prefiche e per l'occasione reso burlesco dalle maschere che piangono il compagno morto a causa di una forte bevuta e successivamente risorto grazie ad un ulteriore bicchiere di vino) e "sa ilonzana" (donna che fila la lana).
Ancora con l'estrazione di "sos bullettes de sa fortuna" (biglietti contenuti in una giara di sughero o legno) si dà vita ad una lotteria che, con intento burlesco, a seconda della vena poetica del momento, augura ogni tipo di futuro.
www.sardegnacultura.it/grandieventi/carnevale/oniferi.html

Orani
Protagonista del carnevale di Orani è su Bundu (sos Bundos), maschera che indossa gli abiti tipici del contadino: un cappotto largo e lungo, la camicia, i pantaloni di velluto e i gambali di cuoio. La maschera che gli copre il volto è di sughero colorato di rosso, ha lunghe corna, un grosso naso, pizzo e baffi, raffigurando un essere metà uomo e metà animale. I Bundos, durante il corteo, mimano il rito della semina impugnando "su trivuthu", un forcone di legno, accompagnandosi con gesti rituali e un gran vocio.
La festa inizia il 17 gennaio, giorno consacrato a Sant'Antonio Abate, quando i Bundos visitano i tradizionali fuochi e alle maschere viene offerto "su pistiddu", il dolce tipico di questa festività e benedetto durante la processione. Il dolce è offerto anche a tutti i presenti e portato nelle case dei malati a tredici persone di nome di Antonio.
Il carnevale dei Bundos, pur riallacciandosi alle antiche credenze contadine, ha probabilmente origini successive rispetto agli altri più noti carnevali barbaricini. Su Bundu è una creatura metà umana e metà bovina; il colore rosso della maschera che gli copriva il volto in origine veniva ottenuto proprio con il sangue di bue, mentre il loro forcone, "su trivuthu", simboleggiava le origini contadine.
La tradizione popolare narra di un coraggioso contadino il quale, durante una notte tempestosa, travestito da Bundu convinse gli spiriti inquieti a rispettare la gente e il loro raccolto.
La mimica e le urla delle maschere rappresentano l'eterna lotta tra il bene e il male, anche se le credenze popolari sono discordanti, identificando su Bundu a volte con il male, quando si pensava che volesse intimorire gli uomini, altre volte con il bene, identificandolo con un dio del vento che aiutava i contadini a separare il grano dalla crusca.
www.sardegnacultura.it

Oristano
La Sartiglia è una delle manifestazioni carnevalesche sarde più spettacolari e coreografiche. Il nome deriva dal castigliano "Sortija" e dal catalano "Sortilla" entrambi aventi origine dal latino sorticola, anello, ma anche diminutivo di "sors", fortuna. Nell'etimologia del termine è racchiuso il senso della giostra come una corsa all'anello, una giostra equestre legata strettamente alla sorte, alla fortuna, ai riti pagani propiziatori di fertilità della terra.
La Sartiglia della domenica di Carnevale si svolge sotto la protezione di San Giovanni Battista e le sue fasi cerimoniali sono organizzate e dirette dal Gremio (una sorta di corporazione) dei Contadini, mentre il martedì i riti sono a cura del Gremio dei Falegnami, sotto la protezione di San Giuseppe.
Il protagonista è su Cumponidori, il cavaliere, il cui nome deriva da quello del maestro di campo della "sortija" spagnola, chiamato "componedor". La festa inizia con il lungo rituale della vestizione del capo-corsa il quale, seduto sopra un tavolo di legno, da quel momento non potrà più toccare terra fino alla fine della giornata. Le donne, "is Massaieddas", guidate dalla "Massaia manna", vestono il cavaliere con una camicia bianca, pantaloni e "cojettu" di pelle (sorta di gilet anticamente usato quale abito da lavoro dagli artigiani), coprono il suo viso con una maschera androgina tenuta ferma con una fasciatura, poi gli adornano il capo con un velo da sposa e un cilindro nero: uomo e donna al tempo stesso, su Componidori diventa una sorta di semidio.
Il cavaliere è il signore della festa e, avendo sfilato in corteo assistito da su Segundu Componidori e su Terzu Componidori e dopo aver benedetto la folla con "sa Pippia de Maju" (un fascio di pervinche e viole, simbolo di primaverile fecondità), ha il compito di aprire la gara, infilando per primo con la spada una stella appesa ad un filo; sceglierà quindi i cavalieri che avranno l'onore di partecipare alla giostra: la tradizione vuole che dal numero di stelle infilate dipenda l'abbondanza o la penuria del raccolto. L'ultima corsa all'anello viene effettuata con "su stoccu", un'asta di legno lavorato.
Prima delle corse delle pariglie che si susseguiranno fino al tramonto nella vicina via Mazzini, a chiusura della Sartiglia, su Cumponidori dovrà cimentarsi in "sa remada": disteso di schiena sul dorso del cavallo percorrerà al galoppo la pista, benedicendo la folla.
Una particolarità del Carnevale di Oristano è Sa Sartigliedda del lunedì, una Sartiglia in versione ridotta riservata ai bambini, i quali montano i famosi cavallini della "Giara". Questa manifestazione viene ripetuta anche in estate, a ferragosto.
Le origini della Sartiglia sono da ricercarsi nelle gare equestri medievali, praticate già dai Saraceni ed introdotte in Occidente dai Crociati tra il 1118 e il 1200.
Questa corsa all'anello, probabilmente presente ad Oristano già nel 1350, potrebbe essere stata eseguita per la prima volta in occasione delle nozze del giudice Mariano II: in quel periodo i legami tra la Corte Aragonese e quella d'Arborea permisero che i fanciulli del Giudicato venissero educati in Aragona dove quest'esercizio cavalleresco era già largamente praticato.
La gara, in origine manifestazione delle classi nobiliari, divenne fin da subito l'emblema della tradizione giudicale e cavalleresca oristanese e rimane ancor oggi espressione della vita e della cultura popolare di Oristano.
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Orotelli
I protagonisti del Carnevale di Orotelli sono i Thurpos, che inscenano diverse situazioni legate alla tradizione contadina: Su Thurpu Voinarzu (il contadino) che deve governare i testardi Thurpos Boes (i buoi); i Thurpos seminatori che spargono crusca lungo il cammino; Su Thurpu Vrailarzu (il fabbro) che ferra Su Thurpu Boe e Su Thurpu che accende il fuoco con un acciarino, una pietra focaia e un cornetto di bue pieno di midollo di ferula secca ("corru esca").
Durante la sfilata all'improvviso Sos Thurpos si avventano sul pubblico, rendendolo così partecipe del "gioco". Mimando il comportamento dei buoi, catturano ("sa tenta") qualche conoscente privo di maschera e lo costringono ad offrire loro da bere.
Il martedì di carnevale i ruoli si invertono, saranno i Thurpos ad offrire da bere agli spettatori. La rappresentazione si conclude nella piazza del paese, dove tutti prendono parte a su ballu de Sos Thurpos.
Sos Thurpos (il termine vuol dire ciechi, storpi) è una delle maschere più importanti della tradizione contadina. Si presenta a viso scoperto, vestito con un abito di velluto, i gambali di cuoio ("sos cambales"), un lungo pastrano ("su gabbanu") di nero orbace, quello che un tempo veniva utilizzato dal pastore durante la stagione invernale.
A tracolla porta una bandoliera di campanacci, il volto è coperto di fuliggine ed è nascosto da un grande cappuccio che scende fino al naso. Sughero e campanacci vengono utilizzati con la funzione di allontanare gli spiriti maligni.
Come gli altri carnevali sardi a sfondo agropastorale, il carnevale di Orotelli ripropone in chiave grottesca il capovolgimento del rapporto uomo-animale e la lotta dell'uomo contro la natura, con un rituale di propiziazione della pioggia e della fertilità della terra.
Il carnevale viene però tradizionalmente letto come rappresentazione del rapporto proprietario terriero-braccianti. L'occasione consentiva eccezionalmente ai braccianti di Orotelli di mimare l'autorità dei "padroni", senza doverne subire le conseguenze. Le persone più ricche del paese venivano inoltre "catturate" e costrette ad offrire da bere. Dal capovolgimento dei ruoli una temporanea rivincita dei più deboli.
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Ottana
Il Carnevale di Ottana affonda le sue radici in tempi antichissimi e perpetua una tradizione mai interrotta, mettendo in risalto il passato e l'identità culturale della comunità che ha le sue origini nel mondo agro pastorale.
Volendo oggi descrivere, più che interpretare, il Carnevale e le sue maschere tradizionali, si può dire che, in occasione delle manifestazioni carnevalesche, vengono riproposte scene della vita quotidiana del mondo contadino.
Le maschere descrivono, attraverso spontanee interpretazioni estemporanee che si sviluppano in una sorta di canovaccio, personaggi, ruoli e le innumerevoli situazioni della vita dei campi, quali l'aratura, la semina, il raccolto, nonché la cura, la domatura, la malattia, la morte degli animali.
Il Carnevale costituisce una delle ricorrenze più attese dalla popolazione ottanese che da sempre partecipa in maniera spontanea e s'identifica nella ricchezza culturale e nel profondo senso di appartenenza alla propria cultura.
La caratteristica principale del Carnevale è data dalle particolari maschere de Sos Merdules che rappresentano, genericamente, con questo unico termine, le maschere de Sos Boes e di altri animali, quali: Porcos, Molentes, Crapolos.
Il Carnevale che con le sue maschere per tre giorni impazza per le vie del paese, a partire dalla domenica di quinquagesima, fino al martedì che precede il mercoledì delle ceneri, inizia in realtà la sera del 16 gennaio, festa di Sant'Antonio Abate, quando, dopo la funzione religiosa che termina con la benedizione del falò (su Ogulone) in piazza, le maschere fanno la loro prima uscita e si radunano intorno al fuoco.
È in questa occasione che il sacerdote consegna "S'Affuente", un piatto di rame lavorato a sbalzo con motivi decorativi e una scritta in caratteri alemanni (si presume di origine celtica), utilizzato anche durante i riti della Settimana Santa (lavanda dei piedi e per mettere i chiodi che vengono tolti al Cristo il venerdì Santo durante la cerimonia de "S'iscravamentu", deposizione dalla Croce).
Il piatto diventa uno strumento musicale che percosso verticalmente con una grossa chiave dà il ritmo al ballo tipico di Ottana, l'antico "Ballu de S'Affuente".
Altri strumenti musicali sono "s'òrriu", un cilindro di sughero con la parte superiore ricoperta da un pezzo di pelle di animale dal quale pende una correggia che, intrisa di pece e fatta scorrere all'interno con la mano, produce un suono roco e prolungato che spaventa le bestie e disarciona i cavalieri; "su pipiolu", uno zufolo realizzato con canna palustre.
Un altro aspetto significativo della tradizione del carnevale è costituto da alcune specialità alimentari tipiche, quali "sas gazzas"; "sas savadas" (dolce di formaggio filante ricoperto di pasta, fritto nell'olio bollente e servito con il miele e/o con lo zucchero); "sa pasta violada" (dolce di pasta lavorata con lo strutto, fritta nell'olio bollente), "sas origliettas" (dolce di pasta sottilissima tagliata a striscioline, fritto nell'olio bollente e condito con il miele.
Inoltre, "sos culurzones" (ravioli) di formaggio e/o di ricotta, "sa galadina" (gelatina di carne di maiale) e ancora salsicce, prosciutto, pane "carasau", formaggio e vino locale.
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Ovodda
I riti del Carnevale del "Mehuris de Lessia" Il carnevale a Ovodda si festeggia il Mercoledì delle Ceneri, "Mehuris de Lessia", e costituisce un momento di forte identificazione della comunità con le proprie tradizioni secolari.
Personaggio principale è Don Conte, fantoccio antropomorfo maschile, talvolta ermafrodito; indossa una larga tunica colorata da cui traspare una grossa pancia fatta di stracci che copre l'anima in ferro che lo sorregge.
Sono diversi gli elementi che differenziano questo evento dagli altri carnevali barbaricini: non solo il fatto che si svolge il Mercoledì delle Ceneri, Mehuris de Lessìa, ma anche la totale assenza degli enti istituzionali nell'organizzazione dell'evento e la mancanza di qualsiasi tipo di propaganda.
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Samassi
Il carnevale samassese, una storia lunga 57 anni. Il carnevale di Samassi è diventato celebre grazie al lavoro silenzioso e attento di tanti samassesi che hanno dedicato il loro tempo libero alla creazione di una festa allegra e divertente alla portata di tutti, grandi e piccini.
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Samugheo
Il carnevale di Samugheo affonda le sue origini nella cultura agropastorale e conserva parecchi elementi del culto di Dioniso rappresentato da s'Urtzu che ne inscena la passione e la morte. Ai riti dionisiaci si può ricondurre anche il comportamento dei Mamutzones che saltano invasati intorno a s'Urtzu.
La sacralità dei Mamutzones è testimoniata dalla cantilena da questi tradizionalmente recitata mentre inseguono i bambini del paese: "S'Ocru mannu piludu non timet a nissunu, solu du Deus mannu, s'Ocru mannu corrudu..." (L'Orco grande peloso non teme nessuno, solo il grande Iddio, l'Orco grande cornuto...)
I protagonisti principali del carnevale di Samugheo sono:
Su Mamutzone, maschera muta col volto annerito dal sughero bruciato che, sopra un abito di fustagno nero, indossa una casacca di pelli di capra senza maniche, con una cintura da cui pendono diverse file di sonagli ("campaneddas e trinitos"). Sul petto porta dei campanacci in ottone e in bronzo il cui numero anticamente corrispondeva con il numero di pecore possedute. Il copricapo, detto "su casiddu" o "su moju", è un recipiente di sughero munito di corna caprine e rivestito all'esterno da pelli di capra.
S'Urtzu, la vittima della rappresentazione, indossa un completo di pelle di caprone nero, pelli di capretto sul petto ed un unico pesante campanaccio come la capra che guida del gregge. Sotto la veste, fino a poco tempo fa, portava una vescica piena di sangue e acqua che, in seguito alle percosse di s'Omadore, si riversavano al suolo, rendendo simbolicamente fertile la terra.
S'Omadore, il pastore, con un lungo pastrano nero e il viso coperto di fuliggine, tiene "sa soga" (la fune), un bastone, una zucca contenente vino e il pungolo.
Su Traga Cortgius, personaggio che trasporta pelli bovine secche e rappresenta un presagio di morte, era solito passare nei vicoli all'imbrunire non solo durante il carnevale ma anche in altri momenti dell'anno.
Secondo la tradizione, che prevedeva l'uscita al calar della sera, quando in paese risuonavano le campane, le maschere fanno la loro prima apparizione alle 19.00 del 16 gennaio, in occasione della festa di Sant'Antonio Abate. Il carnevale vero e proprio comincia nel primo pomeriggio di giovedì grasso con la vestizione, momento vissuto intensamente dai partecipanti.
Le maschere escono la sera del giovedì, della domenica e del martedì di carnevale.
Il rito è incentrato su una processione disordinata e coinvolgente in cui i Mamutzones imitano il combattimento delle capre in amore e saltellano facendo risuonare i campanacci, mentre s'Urtzu sceglie tra le ragazze che incontra sul proprio cammino quelle con cui simulare l'accoppiamento. S'Omadore cerca di guidare s'Urtzu picchiandolo e pungolandolo, questi ripetutamente cade a terra e muore. Sarà il vino, elemento della terra, a rianimarlo e si rialzerà muggendo: s'Urtzu muore per rendere fertile la terra e rinasce dalla stessa, simboleggiando l'eterno ciclo della natura.
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San Gavino Monreale
Il carnevale di San Gavino Monreale è la più importante delle feste popolari della cittadina, riscoperta una decina di anni or sono, a cui partecipano migliaia di persone che vengono dai centri vicini a godere dello spettacolo della sfilata delle maschere e dei carri.
La manifestazione carnevalesca sangavinese non e' altro che il ripetersi dell'antico rito del capro espiatorio condotto all'altare in sacrificio. Il pupazzo di cartepesta "su baballotti" apre la sfilata, è il simbolo del Carnevale.
Simboleggia infatti il dono che viene offerto in sacrificio e sul quale si scaricano tutte le colpe collettive e individuali commesse durante tutto l'anno e in modo particolare le trasgressioni commesse durante il Carnevale.
I carri (frutto di maestria di valenti artisti locali che nulla hanno da invidiare alle costruzioni dei più blasonati e pubblicizzati carnevali della Sardegna) sono dei veri e propri palcoscenici mobili in cui accade di tutto e che alla sera si illuminano di mille colori grazie all'uso di luci e riflettori che inondano la via Roma di fasci multicolori, che si intrecciano con la musica stereofonica dando inizio ai balli e alle danze collettive che si protraggono sino a notte tarda.
www.sangavino.net

Santu Lussurgiu
Il Carnevale di Santu Lussurgiu è caratterizzato dalla corsa a pariglie detta "Sa Carrela 'e nanti" ("strada che si trova davanti: la corsa ha preso il nome della via dove tradizionalmente si svolge l'evento, un tempo strada principale, oggi via Roma).
Tra le più spericolate e spettacolari dell'isola, la corsa dei cavalli di Santu Lussurgiu chiama intorno a sé l'intera comunità: non vi è solo lo spettacolo offerto dalle audaci acrobazie equestri, ma anche la partecipazione della folla che in massa si apre un attimo prima dell'arrivo dei cavalli in corsa per richiudersi subito dopo il loro passaggio.
"Sa carrela 'e nanti" è una strada (resa sterrata per l'occasione) lunga circa un chilometro, caratterizzata da ripide discese e salite, da curve e strettoie che si snodano lungo le viuzze del centro storico del paese nel rione chiamato Biadorru (via del ritorno) in particolare in via Roma.
I cavalieri, rigorosamente lussurgesi, devono indossare, secondo la tradizione, una maschera o avere il volto dipinto. "Sa mascherada", l'abbigliamento del cavaliere, è ricco di colori e fantasia. Può ricordare i costumi spagnoli, le casacche dei fantini, oppure richiamare l'antico costume del paese, con il "capotinu 'e fresi", giubbotto d'orbace (il tessuto di lana grezza, tipico della Sardegna, utilizzato per confezionare costumi regionali o cappotti, mantelli, coperte), o il "cossu 'e pedde 'e itellu" (il corsetto di pelle) e la "berretta longa", oppure ancora rappresentare altri personaggi più attuali.
La manifestazione si svolge in tre giornate:
La Domenica di Carnevale, i cavalieri si presentano a s'iscappadorzu, il punto in cui hanno inizio "sas carrelas", le corse. I cavalieri possono partecipare da soli ("a sa sola"), o correre appaiati ("a pareza"). Sa pareza può essere a due, "pareza 'e duos", o a tre, "pareza 'e tres", l'ultimo martedì di Carnevale può essere a quattro e viene chiamata "pareza 'e bator".
La corsa più comune è la pareza a coppie oppure a tre: i cavalieri partono, corrono e arrivano insieme, uniti per le braccia, volendo simboleggiare l'unità, la concordia, l'amicizia e la solidarietà.
Il lunedì, chiamato "Su Lunisi de sa Pudda" (il lunedì della gallina), il cavaliere lanciato al galoppo deve buttare a terra con un bastone, chiamato "su fuste 'e ortzastru", un fantoccio che ha le sembianze di una gallina.
Il martedì lo spettacolo si chiude con la premiazione dei cavalieri che hanno buttato giù più galline, e con la premiazione delle tre migliori pariglie mascherate; possono essere dati premi particolari, nonché un premio di partecipazione per tutti i cavalieri partecipanti.
Le tradizioni equestri, come Sa Carrela 'e nanti, sono molto antiche, risalgono ai tempi dei Giudici di Arborea e dei viceré spagnoli che incrementarono l'allevamento razionale dei cavalli, tanto da ottenere razze speciali per le corse.
Nelle corse a pariglia che si svolgono durante il Carnevale a Santu Lussurgiu, i cavalieri mostrano una grande abilità equestre e molta compostezza, come impongono le regole di questo genere di manifestazione che ha origini nelle esercitazioni e nelle tradizioni delle cavallerie leggere.
Nella aree pastorali, inoltre, il cavallo è sempre stato un compagno fedele dei pastori e anche se c'è stato un forte calo del suo utilizzo in campo rurale, molti continuano a possederne per le corse ippiche.
In Sa Carrela 'e nanti l'uomo e l'animale sono una sola forza capace di creare un'imperdibile dimostrazione di balentia (valore maschile).
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Sarule
La maschera principale del carnevale di Sarule è "sa Maschera a Gattu", che porta "duos oddes", le due gonne del costume tradizionale indossate al rovescio per nascondere i ricami e garantire l'anonimato, una copertina bianca sulla testa come simbolo della nascita, un velo nero davanti al viso come emblema della morte, e una fascia rossa intorno al capo per simboleggiare il matrimonio.
Con la scelta degli indumenti usati, "sa Maschera a Gattu" perpetua simbolicamente riti agrari di morte e rinascita della natura diffusi nel mondo antico mediterraneo, tra questi i rituali dionisiaci.
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Tempio Pausania
Il Carrasciali Timpiesu è il carnevale con sfilata di carri allegorici più famoso della Sardegna, che attira una presenza media giornaliera di circa 20.000 visitatori.
La festa mascherata di canti e balli in costumi stravaganti si svolge lungo le vie del centro storico della città ed ha un tradizione plurisecolare che ha sempre coinvolto tutta la popolazione di ogni ceto e (viene citata nel 1700 dal sacerdote Pietro Molinas che scrive in gallurese Suzzedi a lu carrasciali, una caresima pronta, undi si paca e si sconta, l'alligria generali, e l'omu chi godi abali, dumani è in calamitai) ma è dal 1960 che ha inizio la consuetudine della sfilata dei carri di cartapesta (sul modello del carnevale di Viareggio).
Chiude la sfilata la maschera di re Giorgio (Ghjolghju Puntogliu), che rappresentando il potere seduto sul trono, circondato e adulato per sei giorni dalla sua corte e dagli ambasciatori e di cui si celebrano le nozze con la formosa popolana Mannena. Tra le antiche figure tradizionali in maschera si cita lu Traicogghju, spirito che si trascina pelli di bue o di cavallo, catene e paioli, arcaica sintesi tra figura animalesca e maschera demoniaca (come il Mamuthone e altre maschere sarde), la Réula, schiera dei morti, e lu Linzolu Cupaltatu, figura femminile avvolta in un lenzuolo e per questo irriconoscibile e disinibita (sotto le cui spoglie può però anche rivelarsi un uomo...).
Tra le figure estemporanee si cita il personaggio di "Sgiubbì". A margine della sfilata, cui partecipano anche sbandieratori e majorettes vengono distribuiti le frittelle (li frisgioli longhi) possibilmente fritte nell'olio di lentischio (òciu listincu) e il moscato di Tempio.
I festeggiamenti del carnevale, durante il quale si svolge anche un Palio di abilità a cavallo (lu palu di la frisgiola, di antica origine, nel quale i cavalieri devono afferrare al galoppo una frittella posta a notevole altezza), si concludono la sera di martedì grasso con il processo di sua maestà re Giorgio per tutte le colpe e i problemi di Tempio e della Gallura e la sua condanna al rogo sulla pubblica piazza mentre i giullari gridano Ghjogliu meu! Ghjogliu meu!, lu mé fiddòlu bonu ch'eri tu! ohi! ohi! Moltu è carrasciali! Carrasciali è moltu! in una festa ironica e irriverente.
La notte nei locali della città si susseguono maratone di ballo e veglioni mascherati. La macchina organizzativa del carnevale e della sfilata coinvolge diverse migliaia di persone.
www.carnevaletempiese.it