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Il Carnevale in Puglia

Il Carnevale in Puglia

Andria
Ad Andria, dopo la Befana, i cittadini si preparavano a ricevere degnamente il Carnevale e il 17 del mese di Gennaio, festa di S. Antonio Abate, "a San'Andunia Mascachara i Sunna" ( a S. Antonio, maschere e suoni), come essi dicevano, appendevano per la strade dei pupazzi. Questi erano sospesi a funi legate ai balconi, "a la gaiva", da un lato all'altro della strada ed erano fatti ad altezza d'uomo. Altre volte i pupazzi si mettevano sui balconi, seduti su una vecchia sedia, con la pipa in bocca, cappello in testa, in atteggiamento di chi spia l'arrivo di qualcuno.
Essi costituivano l'attrattiva del momento e stavano a ricordare l'avvicinarsi del Carnevale.La gente si impegnava a fare il pupazzo il più possibile simile all'uomo solo per ricevere i complimenti dei passanti perché non c'erano premi e competizioni.
Oggi questa tradizione non è più ricordata né tanto meno si organizzano giochi innocenti di questo genere; tutt'al più si trascorre qualche serata con gli amici.
Ma quando, cento anni fa, si aspettava il Carnevale preparando i fantocci, c'era la partecipazione attiva di tutti, piccoli e grandi, che collaboravano per la riuscita del pupazzo e nello stesso tempo si divertivano.
Per i festeggiamenti nel periodo di Carnevale tutto era semplice e sbrigativo.
Bastava che una donna infilasse un paio di pantaloni del padre o del marito, mettesse un cappello "na coppia", in testa e si tingesse il viso con un po' di carbone perché fosse pronta per girare nel paese e pavoneggiarsi nel suo nuovo abbigliamento che la faceva sentire diversa. Altre donne, invece, avvolgevano intorno al corpo una coperta "na matatella" tenuta stretta sulla testa e, così abbigliate, si divertivano mangiando o gettando confetti, i diavolini, "ra cocchala", per le strade.
È inutile dire che schiere di bambini seguivano sempre i gruppi mascherati, perché speravano di raccogliere i confetti specialmente quando avvenivano"ra patrasceita", cioè i lanci, le gettate di confetti fatte alle amorose dai giovani a cavallo o sulle "sciarrette", carrozzelle.
www.carnevalediandria.it

Corato
Il Carnevale coratino è una delle manifestazioni storiche promosse ed organizzate dalla Pro Loco "Quadratum".
Caratteristica è la massiccia partecipazione di gruppi mascherati che animano le sfilate della domenica e del martedì di Carnevale: gruppi organizzati dagli Istituti Scolastici, dalle Associazioni locali, dalle Parrocchie e da privati cittadini che partecipano al concorso a premi.
Grandi feste spontanee, in vero, affollavano il centro cittadino nei giorni del Carnevale già verso la fine dell'Ottocento e nei primi del Novecento. A memoria di tale tradizione restano solo vecchi racconti e le due maschere de "U Panzone (il Panzone) e de "La Vecchiaredd" (la Vecchierella).
Quella del Panzone è la maschera più antica del carnevale coratino. Gli abiti, simbolo della borghesia agraria potente e prepotente che si contrapponeva agli umili e poveri lavoratori della terra, si tramandano di generazione in generazione in un numero ristrettissimo di famiglie. Il Panzone è allegoria di una ricchezza prepotentemente ostentata, e di una falsa generosità che i coratini del tempo che fu scelsero come simbolo del sovvertimento sociale caratteristico già delle antiche feste pagane latine di cui è erede il Carnevale. "Semel in anno licet insanire!" La Vecchierella, maschera importata forse dalla tradizione carnascialesca napoletana, tradisce, invece, nell'aspetto, un forte legame con le "Quarantane", le vecchie-fantoccio che si usavano bruciare prima della Quaresima, e deriverebbe, quindi, dai riti misterici della tradizione pagana. In una interpretazione più spicciola, però, la maschera rappresenterebbe la forza della vecchia generazione, che porta sulle spalle quella nuova ancora debole e indifesa.
Altra maschera tradizionale scomparsa per anni è quella de "U Scerìff" ( lo Sceriffo). Riportata in auge dall'associazione Cicres, nacque intorno agli anni '50-'60 quale segno del benessere economico di quei tempi e retaggio della esuberanza degli eroi western di Hollywood. Il gruppo mascherato degli Sceriffi ha partecipato a molte sfilate di Carnevale in molte città italiane riscuotendo sempre grande successo e vincendo anche prestigiosi premi.
www.prolococorato.it

Gallipoli
Antichissima è la tradizione carnascialesca in Gallipoli e documentata, oltre che in atti e documenti settecenteschi, da radici folcloristiche che affondano le origini in epoca medioevale.
Da sempre infatti il popolo gallipolino pratica, quasi con ostentata teatralità, eppure con convinta partecipazione e con gaia esuberanza, la parentesi carnevalesca, che lega, forse inconsapevolmente, a trascorsi paganeggianti. Non a caso ne scandisce la sequenza temporale con riferimenti a credenze e a pratiche precristiane, quale significativamente rappresenta il rito propiziatorio del fuoco, col quale il gallipolino suole iniziare il Carnevale, col bruciare all'aperto sulle pubbliche piazze cataste enormi di ramaglie d'ulivo.
E' il rito delle "Focareddhe" che, dedicate al patrono cristiano del fuoco, S. Antonio Abate, si accendono nei cento crocicchi della città. Al primo riverbero delle fiamme viene lanciato il segnale al suono del saraceno tamburello per l'apertura delle procaci danze, cadenzate al ritmo della "pizzaca" e accompagnate da salaci commenti e da frizzanti lazzi, con euforia popolaresca indirizzati verso le giovani verso le giovani coppie. Il Carnevale era ed è vissuto ancora in continua osmosi tra paganesimo e cristianesimo, tra fervore naturalistico e religiosità popolare intensamente vissuta. Non a caso la maschera tradizionale del popolo è "lu Tidoru", Teodoro.
Narra la tradizione che Teodoro, un giovane soldato gallipolino, fosse stato trattenuto, con grande dolore della madre sua, lontano dalla sua terra pur coltivando la grande speranza di poter ritornare alla sua casa prima della fine del Carnevale, nel periodo cioè in cui tutti potevano godere dell'abbondanza del cibo e delle carni prima dell'avvento della Quaresima che la Chiesa destinava alla penitenza e all'astinenza. Ed in questo senso erano state rivolte a Dio le preghiere della madre sua, la "Caremma", che, per tanto supplicare aveva ottenuto una proroga di due giorni ("i giurni te la vecchia") al periodo stabilito, affinché suo figlio potesse partecipare di tanta abbondanza.
Il martedì successivo Teodoro ritornato finalmente in patria si tuffa nel turbinio frenetico dei balli e delle gozzoviglie cercando incontenibile di recuperare tutto il tempo inutilmente perduto.
Racconta il popolo immaginifico che Teodoro consumasse, in quel tragico martedì grasso, quintali si salsicce e polpette di maiale ingozzandosi alla fine tanto da rimanerne strozzato.
Con Teodoro moriva anche il Carnevale, la crapula, i piaceri terreni e a nulla valevano i gemiti di dolore ed i disperati pianti intorno alla bara, che oggi è rievocata portando in giro per la città disteso morto su di un carro un pupo, spesso di paglia e pianto da prefiche scarmigliate, urlanti frizzanti lazzi popolareschi, giacché il popolo ravveduto dall'insegnamento cristiano, radunato ai piedi del quattrocentesco campanile francescano, nel borgo antico, attendeva, alla fine, lo scoccare della mezzanotte per attestare, in ginocchio ed a capo scoperto, la propria compunzione, nella vissuta consapevolezza della labilità della vita umana e nella speranza di un perdono divino, propiziato mercé della penitenza canonica che iniziata all'alba del mercoledì delle ceneri si protraeva per i 40 lunghi giorni della Quaresima cristiana.
Il Carnevale rappresentava così per il gallipolino il momento dell'euforia.
Impazzava allora per le vie del borgo antico prima di trasmigrare nel borgo nuovo, con i mille travestimenti realizzati con i poveri panni ma anche con preziose seterie, in un generale coinvolgimento di tutti i ceti sociali dando vita a cento e cento maschere e a mozzi frizzanti e gioiosi. A gruppi le maschere scorazzavano per le vie invase dalla gente tra gli applausi, i coriandoli, i confetti e le mille trovate di pupi sarcastici che alimentavano l'allegria e la spensieratezza fino alla stanchezza.
www.gallipolivirtuale.com

Manfredonia
Il Carnevale dauno o sipontino è una manifestazione che si tiene a Manfredonia (FG) durante il periodo di Carnevale. Il Carnevale nacque nel 1954 ed è riconosciuto dalla Regione Puglia come "manifestazione di interesse regionale". È associato alla "Federazione europea delle città del carnevale". Per due volte è stato inserito tra le manifestazioni abbinate alla Lotteria Nazionale.
Si svolge una sfilata di carri allegorici in cartapesta. Si mangiano i tipici piatti carnevaleschi: la "farrata" (in dialetto "farrét'"), un rustico a base di farro e ricotta, e gli "scagliozzi" (in dialetto "scagghjuzz'"), fettine triangolari di polenta fritta.
La "Sfilata delle Meraviglie", alla quale partecipano i bambini delle scuole elementari e materne, si svolge nella prima domenica di Carnevale. Nelle scuole si organizzano laboratori di sartoria e coreografia e si svolgono ricerche sulle tradizioni e sulle tematiche di attualità: l'ambiente (al quale è dedicato il "Premio speciale" dell'ASE), la pace, l'intercultura, la solidarietà. Dal 1998 la "Sfilata delle meraviglie ha ottenuto il patrocinio dell'UNICEF. Ze Pèppe La maschera tipica è "Ze Pèppe". Rappresenta un allegro contadino che arriva in città per divertirsi con la gente sipontina, durante il carnevale. Però finisce con l'esagerare nei divertimenti: prenderà l'influenza e morirà e il suo corpo, secondo la leggenda, viene cremato durante i festeggiamenti carnascialeschi del martedì grasso.
www.carnevaledauno.it

Massafra
Anticamente a Massafra, come attestano alcuni documenti settecenteschi della Confraternita del Sacramento, si usava celebrare il cosiddetto "Carnevaletto", che consisteva in un rito riparatore di tre giorni per le offese arrecate a Gesù durante il carnevale. Si ricordano inoltre, le processioni notturne a scopo di penitenza, indette intorno agli anni venti, per tutti i giovedì di Quaresima, dal passionista a riposo P. Vincenzo Martucci, e dal giovane Luigi Russo, nonché quelle dei venerdì di marzo che si svolgevano nella gravina della Madonna della Scala, con la visita alle tre Cappelle dei crocifissi.
Il Carnevale di Massafra inizia per tradizione plurisecolare il 17 gennaio, giorno in cui ricorre la festa di Sant'Antonio abate (chiamato a Massafra Sant'Antonio del fuoco, o Sant'Antonio del porco), da cui deriva il detto popolare: "De Sant'Antuone, maschere e suòne". In questa giornata, i contadini, i massari e le donne di casa, conducevano il loro bestiame all'annuale cerimonia della benedizione degli animali domestici e da lavoro, che veniva impartita nello spiazzo antistante l'antica chiesa rupestre di Sant'Antonio abate, di proprietà del Capitolo, che prima della costruzione dell'Ospedale Pagliari, si trovava in aperta campagna, fuori le porte dell'abitato.
Un giorno di festa rispettato da tutti, allietato da manifestazioni popolari, come l'accensione del falò nelle strade, il "tiro al caciocavallo" sullo spalto orientale della Gravina San Marco, il giuoco della Cuccagna. Nella serata stessa poi, in casa del vincitore, si banchetta e "si menava la scianghe", come allora si intendeva dire per quei balli troppo focosi, eseguiti tra i fumi di Bacco e di Venere.
Dal 17 gennaio, le feste si ripetevano a ritmo serrato tutte le domeniche e i giovedì di carnevale, ognuno dei quali assumeva un proprio nome ed un particolare significato. Si avevano così: il "giovedì dei monaci", il "giovedì dei preti", il "giovedì dei cornuti" (o degli sposati) e per ultimo il "giovedì dei pazzi" (o dei giovani). Seguiva il "giovedì della cattiva" (cioè della vedova), che coincideva con il primo giovedì di Quaresima.
Fino alla seconda metà del XX secolo, era consuetudine tra monaci e preti festeggiare il proprio "giovedì", scambiandosi un cordiale invito a pranzo, che nel periodo di carnevale si può immaginare benissimo quanto fosse succulento e appetitoso. Il "giovedì dei cornuti" si festeggiava con un lauto pranzo nell'ambito familiare, con una scorpacciata di "salsizze arrestute" (salsicce alla griglia), e vino in quantità.
www.carnevaledimassafra.it

Putignano
Le radici del Carnevale di Putignano sono, come è noto, antichissime. Riti, ancor oggi esistenti, come la "Festa delle Propaggini", "La Festa dell'Orso", il "Funerale di Carnevale" hanno elementi di forte analogia con le funzioni originarie del carnevale mediterraneo: il rovesciamento dei ruoli sociali, la rottura temporanea delle regole sociali, i riti agresti propiziatori della Magna Grecia con Dioniso e Bacco. Anche il momento medioevale collegato alle origini del Carnevale putignanese, e quindi la traslazione delle reliquie di Santo Stefano da Monopoli e Putignano sotto l'egida dei Cavalieri di Malta il 26 dicembre 1394, è ulteriore conferma di come il Carnevale di Putignano è un evento che coniuga autenticamente il binomio "Cultura e Mediterraneo".
Sul piano organizzativo e sociale, il Carnevale di Putignano è a tutti gli effetti una Festa nel senso antico del termine: un'intera comunità contribuisce in diversa misura a produrre uno spettacolo nuovo ogni anno che rinnova una tradizione antichissima e ancora vitale.
Non è un caso che a Putignano il trascorrere del tempo si misura con le edizioni del Carnevale; anche per questo radicamento a Putignano non c'è pagamento di un prezzo di ingresso alla sfilata, la visione e partecipazione sono libere e il Carnevale ha la funzione della Festa intesa come salutare interruzione dei ritmi e delle regole del vivere quotidiano.
www.carnevalediputignano.it

Ruvo di Puglia
Il Carnevale è l'unico momento dell'anno in cui è lecito "impazzire".
In passato il carnevale significava per i ruvesi divertimento sfrenato, grandi abbuffate e ripetuti cedimenti alle tentazioni ella carne. Era, insomma, la festa della trasgressione, della propiziazione della fertilità della terra per il nuovo anno, del capovolgimento dei ruoli sociali e delle identità, nonché della aschera che, rendendo possibile un beffardo gioco , era il segno forse più concreto e contraddittorio del rapporto tra il mondo dei viventi e quello dei defunti, tra la vita e la morte tra il bene e il male.
Il carnevale è una festa laica per eccellenza che si riallaccia a riti ancora più lontani, a manifestazioni pagane.
http://www.carnevalearuvo.tk

San Nicandro Garganico
Ancora oggi, all'inizio del Terzo Millennio, da grandi e bambini il Carnevale è visto come periodo di spettacoli, di maschere, di balli. Esso viene celebrato soprattutto nei paesi cattolico-romani. Il giorno di inizio del carnevale variò nel corso dei secoli, ma non fu fissato mai prima del Natale e terminava ( e termina ancora ) con l'inizio della Quaresima. Di solito nell'ultimo giorno, il martedì grasso, la festa raggiunge la massima intensità. La prima data accertata del Carnevale sannicandrese, risale al 5 marzo 1848 ( prima domenica di Carnevale ). In questo giorno fu festeggiato lo STATUTO COSTITUZIONALE, firmato da Ferdinando II di Borbone; per l'occasione sfilò un lungo corteo che girò il paese preceduto dalla banda cittadina diretta da Ferdinando Greco, maestro di cappella. Per Carnevale ( fino al 1960 ) si facevano i " DITT ", che prima del Cristianesimo furono recite o declamazioni di antichi " DICTA ", cioè detti , sentenze, precetti, e col passare del tempo erano divenuti spettacoli di varietà veri e propri con musiche, canti e attori, sempre però nell'ambito familiare allargato. Oltre a queste manifestazioni culturali al chiuso, si organizzavano ( e si organizzano ) tante altre manifestazioni chiassose e ridicole per la strada, come le mascherate di dame e cavalieri, a viso scoperto o con maschera, lanci di confetti, di coriandoli, nella compostezza e nel rispetto della vita civile, ma sempre in tono festoso e brioso. Scene buffe e ridicole da circo equestre o da caricature di donne vestite da uomini e viceversa, ecc. Il concorso della popolazione è tale da far pensare che non ci siano spettatori perché tutti sono attori.
Caratteristica è la chiusura del Carnevale.
La serata è segnata dalla uscita di gruppi di ragazzi, che percorrono il corso e le strade del paese agitando rumorosamente campanacci di varie forme e dimensioni. Sono generalmente figli di pastori perché, prima della bonifica e della messa a coltura dei terreni della Sacca Orientale avvenuta all'inizio degli Anni Cinquanta, la pastorizia era l'attività economica prevalente. Il fragoroso suono dei campanacci rammentava (e rammenta ) a tutti che Carnevale era morto, che i giorni dell'allegria e della festa erano finiti e che bisognava tornare al lavoro e alla vita di tutti i giorni. I gruppi di ragazzi che scuotono i campanacci circondano le persone mascherate, li costringono con il frastuono assordante ad abbandonare il corso, a rifugiarsi prima nelle stradine laterali e poi a far ritorno, lentamente e malinconicamente, alle proprie abitazioni.
www.museostoricoetnograficosannicandro.it