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Analisi strategica nel settore del turismo enogastronomico, tra innovazione e tradizione: il caso Tenuta Lombardi

di Antonio Lombardi
Università degli Studi di Salerno
Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche
Corso di Laurea Triennale in Economia Aziendale
Economia e gestione delle imprese
Relatore: Ch.ma Prof.ssa Cinzia Genovino
Anno Accademico 2020/2021

2.3.1 - Value Proposition Canvas

Tale strumento, di recente ideazione (2014), è opera di Alexander Osterwalder, teorico aziendale svizzero a cui si attribuisce il più generale lavoro del Business Model Canvas.

In una azienda dalla forte impronta customer centric, lo strumento al meglio esprime le sue potenzialità facendo creare all’impresa una proposta di valore per il cliente unica ed innovativa.

Le aziende di successo del giorno d’oggi, tra le altre cose, hanno come punto di forza proprio questo strumento, in grado di creare prodotti ad hoc per i propri clienti (si pensi a Netflix che, grazie ad un algoritmo, adatta il proprio catalogo di film e serie tv a seconda dei gusti dei clienti) e raggiungere risultati economici enormi.

Lo strumento, più specificamente, permette:

  • Di capire i consumatori, con i loro bisogni e le loro aspettative;
  • Di sviluppare un prodotto in accordo con cosa i consumatori vogliono e necessitino;
  • Trovare l’adattamento del prodotto ad uno specifico mercato;
  • Di evitare un prodotto che nessuno vuole, salvando tempo e denaro.

Figura n.8 Value Proposition Canvas

Analisi strategica nel settore del turismo enogastronomico, tra innovazione e tradizione: il caso Tenuta Lombardi - Immagine 10

Fonte https://businessmodelanalyst.com/value-proposition-canvas/

Come si può vedere in figura, si ha una composizione in due blocchi, uno legato alla proposta di valore ed uno al profilo del cliente: quest’ultima serve per capire le volontà dei clienti, l’altra per descrivere in che modo si intende creare valore per quei clienti. Ci si trova nel punto vincente nell’incontro tra queste due componenti.

Andando per gradi si analizza prima il profilo del cliente, mettendosi nei loro panni, indagando tre aspetti:

  1. Job to be done: letteralmente “lavori da fare”, si può capire tale sezione con una riflessione avanzata dal prof. Clayton Christensen, accademico di Harvard: noi non acquistiamo prodotti, noi li assumiamo affinché compiano dei lavori (jobs). Osterwalder continua, definendo, tre tipologie di jobs: funzionali, ossia quelle azioni da svolgere per raggiungere un determinato obiettivo; sociali, ossia come vuole apparire il cliente, trendy, professionale e così via; emotivi, ossia quello stato che vuole raggiungere il cliente, sentirsi ad esempio al sicuro o sani per il consumo di determinati cibi;
  2. Pains: comprende tutto ciò che infastidisce il cliente mentre sta svolgendo il suo job to be done, come esperienze ed emozioni negative, rischi e costi finanziari. La raccolta dei pains può essere effettuata con il medesimo approccio, ossia di suddividerli in tre tipi, dei job to be done;
  3. Gains: si esaminano, sempre dal punto di vista del cliente, gli aspetti positivi connessi ai jobs, nel caso in cui siano presenti. Volendo farci delle domande, ad esempio, “Quali sono i benefici che richiede il cliente? Quali risultati si attende? Ci sono dei guadagni che potrebbero eccedere le sue aspettative? Tali gains, quindi, possono essere richiesti (senza le quali non si creerebbe un vero valore con il prodotto), attesi (quindi le aspettative che ha il cliente), desiderati (oltre le aspettative) ed inaspettati (che sono vere sorprese per il cliente).

Come si può ben notare, sono imprescindibili mentalità ed intelligenza per porre e conoscere le domande migliori, scavando un po' più a fondo nell’animo del cliente così da rendere di più semplice applicazione la proposta di valore, di seguito spiegata.

Avendo sempre un occhio sulla figura 8, una volta completato il lato destro, ci si sposta su quello sinistro. Innanzitutto, si elencano alcune opzioni di prodotto potenzialmente collegate al job to do be done; si uniscono queste idee in un prodotto/servizio che possa creare guadagno (gain) e “alleviare” il dolore (pain) in modo tale che il job to be done sia affrontato in un modo unico e piacevole dal cliente.
Come per il profilo del cliente, anche la proposta di valore si compone di tre elementi:

  1. Prodotti e servizi: partendo dai job l’impresa traduce le richieste dei clienti in veri e propri prodotti. Ci si chiede se questi ultimi, effettivamente, possano realizzare qualche job, sia esso funzionale, sociale o emozionale. L’impresa, quindi, sta in una fase di progettazione, pensando se il prodotto debba avere una determinata caratteristica, se questa sia cruciale o banale e così via;
  2. Gain creators: ci si chiede se il prodotto possa garantire al cliente dei gains, se sì quali sono e in che modo possano rendere l’esperienza con il prodotto stesso più gratificante. Se ci si pensa sono proprio questi i valori aggiunti che, di fatto, rendono una normale clientela in una clientela fidelizzata (che permette una costante fonte di guadagno). Per far ciò occorre porsi delle domande quali: il mio prodotto crea risparmi (in termini di tempo o denaro) per il mio cliente? Semplifica le attività o la vita del cliente? Ha quella serie di elementi che il cliente ricerca (es: design, confort ecc.);
  3. Pain relievers: si ricercano caratteristiche, funzionalità e servizi aggiuntivi che il prodotto può offrire al cliente in modo tale da alleviargli delle difficoltà. L’azienda deve essere concentrata su quelle di maggiore rilevanza, che possono cambiare l’esperienza con il prodotto da sgradevole e difficoltosa ad estremamente positiva. Anche qui, per rendere il procedimento più facile, possono essere di aiuto dei quesiti quali: Permette di aiutare il cliente a risolvere i suoi problemi e farlo stare più tranquillo? Lo rasserena da rischi di varia tipologia (finanziari, sociali, tecnici)?

Come si può vedere esiste, in questo strumento, una corrispondenza tale per cui per il cliente possa uscirne davvero con un prodotto che rasenti la perfezione e garantisca, parimenti, all’azienda con una visione customer-centric, il raggiungimento del proprio obiettivo.

Per massimizzare l’utilità che l’azienda può trarre dallo Value Proposition Canvas e, raggiungere quello stato di “Fit” di cui parla Osterwalder, esistono delle best pratices, quali:

  • Proporre prodotti e servizi solo per uno specifico segmento di clientela che possa, congiuntamente, formare una specifica proposta di valore;
  • Ricordarsi che non sarà mai assolutamente adatta per tutti i consumatori la proposta di valore aziendale, dato il carattere relativo per ciascuno di essi dei propri job, pains e gains;
  • Conseguenza del secondo punto è che si deve essere onesti nella proposta di valore sapendo che non si potrà accontentare tutti.

In definitiva va chiarito che sarà difficile raggiungere lo stato di “Fit” e ancor di più mantenerlo; lo sforzo dell’impresa si deve concentrare proprio nel trovare la giusta essenza di proposta di valore, in modo tale da accontentare il più possibile i clienti, che, saranno spietati se la proposta non dovesse essere adeguata.