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La valorizzazione degli insediamenti produttivi nella regione siciliana: dai contratti d'area alle singole iniziative imprenditoriali

di Salvatore Molè
Università Cattolica del Sacro Cuore - Sede di Piacenza
Facoltà di Giurisprudenza - Corso di Laurea in Scienze Giuridiche

Relatore: Chiar.mo Prof. Marco Sgroi
Tesi di laurea di: Salvatore Molè

5.1 - La normativa e i problemi di interpretazione

Come già accennato, esiste tutta una normativa regionale di settore, a sostegno e incentivazione delle iniziative imprenditoriali, che ha lo scopo di rilanciare un economia con grandi capacità.

Negli ultimi anni si sono susseguite varie norme, ampliando o riducendo gli spazi di intervento sul territorio, talvolta, come vedremo, anche in assoluta deroga non solo alle prescrizioni urbanistiche dei PRG vigenti, dando la possibilità di edificare in zone non edificabili, come quelle agricole, ma arrivando persino a rasentare l’incostituzionalità lasciando intravedere la possibilità di una cementificazione selvaggia in sfregio di qualsiasi ratio - legis.

Analizziamo in concreto, quanto detto:
in materia di impianti produttivi nel verde agricolo, è sorta una questione di interpretazione ; in particolare, l’art. 22 della L.R. Sicilia n. 71/78 (sostituito dall’art. 6 della legge regionale n. 17/94), stabilisce che:

  1. Nelle zone destinate a verde agricolo dai piani regolatori generali sono ammessi impianti o manufatti edilizi destinati alla lavorazione o trasformazione di prodotti agricoli o zootecnici locali ovvero allo sfruttamento a carattere artigianale di “risorse naturali locali” tassativamente individuate nello strumento urbanistico.
     
  2. Le concessioni edilizie rilasciate ai sensi del comma 1 devono rispettare le seguenti condizioni:
    a) rapporto di copertura non superiore a un decimo dell’area di proprietà proposta per l’insediamento;
    b) distacchi tra fabbricati non inferiori a m.10;
    c) distacchi dai cigli stradali non inferiori a quelli fissati dall’art. 26 del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495;
    d) parcheggi in misura non inferiore ad un decimo dell’area interessata;
    e) rispetto delle distanze stabilite dall’articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, come interpretato dall’articolo 2 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 15;
    f) distanza dagli insedianti abitativi ed opere pubbliche previsti dagli strumenti urbanistici non inferiore a metri duecento, ad esclusione di quanto previsto dalla lettera c).
     
  3. Previa autorizzazione delle amministrazioni competenti, nelle zone destinate a verde agricolo è consentito il mutamento di destinazione d’uso dei fabbricati realizzati con regolare concessione edilizia, da civile abitazione a destinazione ricettivo - alberghiera e di ristorazione ove sia verificata la compatibilità ambientale della nuova destinazione ed il rispetto di tutte le prescrizioni igienico-sanitarie nonché di sicurezza. Nelle zone agricole è ammessa l’autorizzazione all’esercizio stagionale, primaverile ed estivo, dell’attività di ristorazione anche in manufatti destinati a civile abitazione e loro pertinenze, nel rispetto della cubatura esistente e purché la nuova destinazione, ancorché temporanea, non sia in contrasto con interessi ambientali e con disposizioni sanitarie. la destinazione ricettivo - alberghiera e di ristorazione cessa automaticamente allorché cessi la relativa attività.”

A sua volta, recita l’art. 35 della legge regionale 7 agosto 1997, n. 30:

  1. Al fine di favorire il rapido avvio delle iniziative produttive previste dai patti territoriali e dei contratti d’area approvati dal CIPE sono ammessi insediamenti produttivi in verde agricolo, limitatamente ai singoli interventi previsti dai patti territoriali e dai contratti d’area già approvati dal CIPE alla data di entrata in vigore della presente legge, anche in deroga a quanto previsto dall’art. 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71 così come sostituito dall’articolo 6 della legge regionale 31 maggio 1994, n. 17, fermo restando il rispetto delle condizioni previste dal comma due dello stesso articolo 6.
     
  2. la deroga di cui al precedente comma non si applica nelle aree di parco e in quelle delimitate a riserva secondo la legislazione regionale vigente.

La problematica attiene alla corretta interpretazione da dare all’inciso “anche in deroga a quanto previsto dall’art. 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71 così come sostituito dall’articolo 6 della legge regionale 31 maggio 1994, n. 17, fermo restando il rispetto delle condizioni previste dal comma 2 dello stesso articolo 6” in quanto secondo la lettera della disposizione parrebbe che la norma, non solo abbia consentito ogni sorta di insediamenti in zone destinate a verde agricolo, anche in deroga a quanto prevede il comma I dell’art. 22 l. 71/78, che ammette solo ben precise tipologie di insediamenti produttivi (impianti o manufatti edilizi destinati alla lavorazione o trasformazione di prodotti agricoli o zootecnici locali ovvero allo sfruttamento a carattere artigianale di “risorse naturali locali” tassativamente individuate nello strumento urbanistico), ma li abbia pure esentati dal rispetto di ogni standard.

Tale interpretazione, tuttavia, sarebbe talmente illogica, irrazionale, gravemente lesiva di valori preminenti, quali la tutela dell’ambiente e del paesaggio (art. 9 Cost.), della salute dei cittadini (Art. 32), del rispetto delle competenze pianificatorie degli enti locali nel mutato quadro costituzionale risultante dal nuovo Tit. V della Costituzione (Artt. 114 e 119) , da imporre all’interprete di ricercare una lettura della norma costituzionalmente orientata e compatibile con i superiori valori i quali, come detto, possiedono innegabilmente carattere preminente, specie se si consideri che la predetta deroga all’obbligo di rispettare le prescrizioni dello strumento urbanistico nelle zone destinate a verde agricolo, da eccezionale e limitata alle ipotese di interventi inseriti in patti territoriali e contratti d’area, è stata progressivamente dilatata al punto da consentire, oggi, l’allocazione in verde agricolo della pressoché totalità di iniziative imprenditoriali private.

E difatti, la L.R. 3-5-2001, n. 6 all’art. 89 c. 3 ha, in una prima versione, stabilito che: “Le disposizioni previste dall’articolo 35 della legge regionale 7 agosto 1997, n. 30, relativa agli insediamenti produttivi in verde agricolo si applicano a tutti gli interventi comunque previsti e finanziati nei patti territoriali, nei contratti d’area e negli altri strumenti di programmazione negoziata, statali e regionali. Le stesse disposizioni si applicano per le iniziative imprenditoriali che abbiano ottenuto il finanziamento pubblico per la realizzazione dei relativi investimenti qualora non siano disponibili aree per insediamenti produttivi previste dagli strumenti urbanistici comunali o nelle aree attrezzate artigianali ed industriali. L’approvazione da parte dei consigli comunali costituisce variante agli strumenti urbanistici”.

Si può già quindi notare, che con queste formulazioni, si è già ampliato notevolmente, il raggio d’azione delle deroghe.

Sennonché, per effetto di successive modificazioni legislative, la portata della deroga di cui alla citata disposizione è stata praticamente generalizzata, in quanto l’allocazione delle iniziative imprenditoriali private in zone diverse da quelle a ciò destinate per volontà della legge (urbanistica) e degli strumenti urbanistici non presuppone più neppure un finanziamento pubblico, requisito che evidentemente selezionava il novero delle iniziative autorizzabili e, presumibilmente, aveva costituito per il Legislatore Regionale elemento decisivo, in un equo contemperamento (che deve supporsi sotteso alle scelte del legislatore) della ragioni di tutela del privato imprenditore a realizzare iniziative (peraltro con fondi pubblici) meritevoli di alleviare la cronica mancanza di lavoro nel Meridione senza subire il pregiudizio dell’abnorme ritardo dei Comuni nella formazione ed aggiornamento dei necessari strumenti urbanistici, da una parte, e della moltitudine dei cittadini ad un ordinato assetto del territorio, deciso nella competente sede della pianificazione urbanistica comunale in osservanza di precise disposizioni di legge in merito (fra l’altro) ai presupposti per la zonizzazione.

Ebbene, per effetto delle modifiche introdotte sul testo originario dell’art. 89 della L.R. 3-5-2001 n. 6, dall’art. 30, comma 1, L.R. 26 marzo 2002, n. 2, a decorrere dal 1° gennaio 2002, come prevede l’art. 131, comma 2, della stessa legge (vedi anche il comma 3 del suddetto art. 30), poi modificato dall’art. 38, L.R. 19 maggio 2003, n. 7 come modificato dall’art. 76, comma 22, L.R. 3 dicembre 2003, n. 20, il testo vigente dell’art. 89 recita: “3. Le disposizioni previste dall’articolo 35 della legge regionale 7 agosto 197, n. 30, relative agli insediamenti produttivi in verde agricolo, si applicano a tutti gli interventi inseriti oltre che nei contratti d’area ed in altri analoghi strumenti di programmazione negoziata approvati dal CIPE o relativi ad interventi finanziati dallo Stato con la legge 19 dicembre 1992, n. 488, o concernenti interventi finanziati dall’Unione europea, anche a singole iniziative imprenditoriali private da realizzarsi con fondi propri, nell’ipotesi in cui non siano disponibili aree per insediamenti produttivi previste dagli strumenti urbanistici comunali né aree attrezzate dagli strumenti urbanistici comunali né aree attrezzate artigianali e industriali o su porzioni dell’area interessata insistano precedenti insediamenti produttivi”.

Come ben si comprende da un agevole confronto tra la originaria e l’attuale formulazione della norma, allo stato della programmazione urbanistica comunale si può sovrapporre la scelta di investitori privati di allocare, nelle zone meno adatte del territorio comunale, e destinate per legge ad offrire (fra l’altro) un polmone verde alla popolazione, le più eterogenee iniziative economiche, tali da stravolgere qualunque assetto e pianificazione del territorio.

L’interpretazione di tale disciplina, già di per sé di dubbia resistenza ad un attento vaglio di costituzionalità dell’assetto degli interessi che ne deriva, se condotta alla sue estreme conseguenze logiche comporterebbe, in buona sostanza, per il combinato disposto delle norme fin qui richiamate, che non solo in verde agricolo potrebbe essere allocato qualunque iniziativa imprenditoriale(anche la più inadatta ed impropria sotto il profilo urbanistico e ambientale), ma addirittura che la stesa non incontrerebbe alcun limite di cubatura, distacchi, distanze, altezze: aprendo la porta ad una inevitabile cementificazione selvaggia e ad uno scempio ambientale senza precedenti e senza rimedio, anche per le future generazioni.

Considerata la ratio della disposizione, risulta evidente come il Legislatore stesso non possa che essere incorso in un errore materiale nel riferire il rispetto delle condizioni al comma 2 dell’art. 6 L.R. 17/94 anziché dell’art.22 della L.R. 71/78, errore presumibilmente ingenerato dal richiamo contestuale delle due norme.
D’altra parte, sarebbe assolutamente fuori da ogni logica, in contrasto con valori costituzionalmente preminenti oltre che senza alcun precedente legislativo nella disciplina del settore, che venga consentito di edificare insediamenti industriali in verde agricolo senza dover rispettare alcuno standard.

Quindi serve ricercare una lettura costituzionalmente orientata, che non può essere diversa da quella proposta, secondo la quale, premesso che l’articolo 22 della legge regionale numero 71 del 1978 ha previsto la possibilità di allocare impianti produttivi collegati allo sfruttamento di risorse naturali nel verde agricolo, nel rispetto però di una serie di standards, e che l’articolo 35 della legge regionale numero 30 del 1997 ha ampliato tale possibilità in favore di impianti produttivi anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 22, in primo luogo il significato di questa deroga non possa essere riferito a tutte le limitazioni previste dall’articolo 22 della legge regionale numero 71 (consentendo quindi a chi costruisce in verde agricolo di essere esentato da ogni sorta di limiti), ma unicamente alle tipologie edilizie allocabili secondo il primo comma dell’art. 22 L.R. 71/78, (che erano) in qualche modo legate alla natura e alla destinazione dei luoghi. In secondo luogo, ritenere che i limiti il cui rispetto sia comunque necessario siano quelli di cui al secondo coma dell’art, 6 l.r. 17/94, anziché quelli di cui al comma 2 dell’art.22 l.r. 71/78, priverebbe di senso logico l’operato del Legislatore(trattasi quindi errore materiale nel riferimento normativo). Infatti, l’art. 6 comma 2 della L.R. 31-5-1994, n. 17 stabilisce che:

“2. Per gli immobili già ultimati alla data di entrata in vigore della presente legge, in base a regolare concessione edilizia rilasciata a norma del previdente testo dell’articolo 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, o comunque realizzati in zona agricola secondo le previsioni del piano regolatore generale e che non possono più essere utilmente destinati alle finalità economiche originarie, è facoltà dei comuni consentire il cambio di destinazione d’uso con riferimento ad altre attività, ancorché diversa da quella originaria, nel rispetto della cubatura esistente e purché la nova destinazione non sia in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. E’ in ogni caso esclusa l’autorizzazione per il cambio della destinazione in uso abitativo”.

In poche parole, il Legislatore avrebbe inteso consentire di edificare insediamenti produttivi in verde agricolo senza dover rispettare alcuno standard, qualora la costruzione sia nuova; dovendo invece attenersi alla cubatura preesistente, e per di più lasciando facoltà ai comuni di negare la concessione in presenza della incompatibilità urbanistica ed ambientale dell’intervento proposto, qualora la costruzione sia preesistente. E quindi si avrebbe una edificazione svincolata da ogni limite, se l’intervento è nuovo, e cioè più invasivo, mentre si incontrerebbero pesanti limitazioni quando l’intervento è di minore impatto, trattandosi di cambio di destinazione d’uso di edifici preesistenti.

L’assoluta irrazionalità della soluzione prospettata contribuisce a convincere dell’erroneità di tale tesi e, conseguentemente, della svista nella quale è incorso il Legislatore regionale nella formulazione della disposizione in questione.

A conforto di quanto fin qui ritenuto, va rilevato che il Consiglio di Giustizia Amministrativa pare appunto aver ritenuto, che vi sia un errore nella formulazione della norma, con il parere (n. 649/2002).