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La tutela del turismo nella giurisprudenza costituzionale

di Fabio Frisenda
Università degli Studi “Roma Tre”
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea in Giurisprudenza
Tesi di Laurea in Diritto Costituzionale
Relatore: Chiar.mo Prof. Alfonso Celotto
Anno Accademico 2015 - 2016

1.9 - Le regioni a statuto speciale

La riforma del Titolo V ha modificato il sistema dei rapporti tra livelli di governo ispirandosi ad una concezione di legittimazione dal basso in cui le relazioni istituzionali tra i livelli di governo sono ispirate ad un principio di pari ordinazione, da cui si evince un rafforzamento dell’assetto complessivo dei poteri locali.

Pertanto, il sistema delle autonomie regionali speciali si è trovato in condizione di inferiorità rispetto a quello delle Regioni ordinarie anche in conseguenza della difficoltà dimostrata nel recepimento e nell’attuazione delle leggi di riforma che sul piano nazionale hanno evidenziato il consolidamento delle istituzioni locali.

Dunque, alla luce delle influenze esercitate dalla riforma costituzionale, si è posto il problema di capire quale sia il rapporto che queste Regioni sono chiamate ad instaurare con i loro enti locali, Riemerge, dunque, il problema circa l’estensione delle “forme di autonomia più ampie” previste dalla riforma nei confronti delle Regioni a Statuto speciale, prevista dall’art. 10, l. cost. n. 3 del 2001.

Tale problema si pone anche in relazione alla permanenza o meno del potere ordinamentale all’interno degli ordinamenti Regionali speciali. Sono state suggerite in tal senso due diverse letture dell’art.10: la prima, estensiva, ritiene travolto il regime dei poteri ordinamentali, in quanto la disciplina ordinaria sarebbe complessivamente più favorevole alle autonomie locali, pertanto, la clausola di maggior favore avrebbe come destinatari il complesso delle autonomie speciali, inteso come comprensivo degli enti territoriali minori localizzati sul territorio regionale.

L’altra tesi, restrittiva, ritiene al contrario che le maggiori forme e condizioni di autonomia riguardino esclusivamente le Regioni speciali. Le due diverse interpretazioni assumono rilevanza per le conseguenze sul maggior favore nei confronti delle Regioni, ovvero sulle nuove prerogative di cui potrebbero beneficiare le autonomie locali nell’ambito delle stesse. Se l’effetto estensivo operasse solo nei confronti delle Regioni, la clausola di maggior favore garantirebbe la permanenza di una serie di istituti che sono espressione di forme di autonomia più ampie, simili a quelle introdotte per le Regioni ordinarie.

Al contrario, se si aderisse alla tesi estensiva, l’intero impianto costituzionale del nuovo Titolo V e soprattutto le finalità da esso perseguite inciderebbero sul tessuto normativo degli Statuti speciali, con l’effetto di travolgere i richiamati istituti, quali appunto lo stesso principio del parallelismo o il regime dei controlli sugli atti.

La tesi estensiva comporterebbe, dunque, in ultima analisi, l’effetto di privare ulteriormente di significato la specialità storica e risulterebbe in contrasto con lo stesso art. 116 Cost. che, anche nella nuova formulazione, conferma la presenza delle autonomie differenziate.

È opportuno, pertanto, rivolgere nuovamente l’attenzione agli effetti che seguono all’estensione della clausola “salva specialità”: se apparentemente l’estensione della nuova disciplina potrebbe sembrare più vantaggiosa per le Regioni speciali, la valutazione dovrà poi effettuarsi su un piano concreto, assimilabile alle caratteristiche proprie dell’ordinamento speciale. Inoltre, anche alcuni profili di natura strettamente interpretativa sembrerebbero confermare tale tesi: innanzitutto, dal tenore letterale della disposizione in esame si evince che le forme di autonomia più ampie sono applicate alle Regioni speciali e non nelle Regioni speciali.

A ciò viene ad aggiungersi poi una ulteriore considerazione: siccome il sistema delle autonomie locali rappresenta un sistema integrato in cui all’aumento delle condizioni favorevoli di autonomia di un livello, corrisponde una diminuzione delle medesime condizioni favorevoli, non sarebbe possibile estendere tali condizioni più ampie anche alle autonomie locali senza comportare un decremento di autonomia all’ente Regione. Ciò rappresenterebbe una ulteriore conferma della validità della suddetta tesi restrittiva: se la clausola di cui all’art.10 estendesse le maggiori forme di autonomia anche agli enti locali, bisognerebbe eliminare il potere ordinamentale delle Regioni stesse, poiché ciò collocherebbe gli enti locali “speciali“ in posizione svantaggiata rispetto a quelli situati nel territorio delle Regioni ordinarie.

Ciò comporterebbe l’ulteriore effetto di ridurre l’autonomia di cui godono le Regioni speciali che proprio nel potere ordinamentale trova una delle espressioni di forme di autonomia più ampie rispetto a quella attribuita dalle Regioni ordinarie.

La competenza ordinamentale delle Regioni speciali nei confronti delle autonomie locali non rappresenta una forma di minore autonomia rispetto alle Regioni ordinarie; in conseguenza essa sopravvive alla clausola di equiparazione.

In ogni caso, il riconoscimento della potestà di dettare la disciplina sugli enti locali non rappresenta un modello isolato nel panorama istituzionale europeo tenuto conto che anche in altri casi di ordinamento di tipo federale, la titolarità della competenza in esame è attribuita agli stati federati. Inoltre, al fine di garantire il carattere unitario del regime da applicare agli enti locali, tale potestà incontra dei limiti: innanzitutto essa è vincolata al rispetto del principio autonomistico, che ha trovato una ulteriore espressione nell’art. 114 Cost.; in particolare ciò si desume dall’attribuzione del potere statutario e dall’art. 117 , co. 6 che si occupa della riserva regolamentare degli enti locali avuto riguardo alla disciplina ed all’organizzazione delle proprie funzioni. Inoltre, restano fermi anche i vincoli derivanti dal rispetto dei principi generali dell’ordinamento e delle norme fondamentali di riforma economica sociale (cui vengono ad aggiungersi anche quelli del rispetto degli obblighi internazionali e comunitari).

Alla luce di quanto detto è possibile affermare che il Legislatore regionale non può non tener conto dei principi enunciati dalla riforma costituzionale, a meno che non sono espressamente derogati negli Statuti. Inoltre, le leggi sull’ordinamento degli enti locali adottate devono conformarsi anche ai principi riconducibili alla normativa statale in materia di organi di governo e funzioni fondamentali di Province e Comuni stabilite ai sensi dell’art. 117, co. II, lett. p).

La stessa Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune leggi regionali in materia di ordinamento degli enti locali, ha riconosciuto la validità del modello ordinamentale adottato dalle Regioni speciali, argomentando che, nonostante l’assetto costituzionale complessivamente inteso sia stato oggetto di cambiamenti, lo statuto delle Regioni speciali resta la fonte normativa fondamentale che regola l’autonomia di tali Regioni e sottolineando che, in sede di revisione costituzionale nel 2001, ci si è posti l’obiettivo di conciliare tale regime speciale con l’assetto costituzionale vigente adattando istituti desumibili dal nuovo Titolo V.

Perciò l’articolo 116 della Costituzione prevede che «il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta dispongono di forme e di condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige è costituita dalle Province autonome di Trento e Bolzano».

Il legislatore costituzionale del 2001 ha confermato la differenziazione delle Regioni a statuto speciale, suscitando perplessità da parte della dottrina52, che auspicava una riforma del titolo V atta a rimettere in discussione le ragioni storiche delle specialità, che allo stato attuale appaiono più un riconoscimento ad una ragione storica piuttosto che ad un’esigenza ancora attuale.

Le modifiche al titolo V della Costituzione introdotte con la legge costituzionale n. 3/2001 determinano un ulteriore problema con la riconfermata particolarità delle Regioni a Statuto Speciale.

L’avvenuto ampliamento delle regioni a statuto ordinario ha chiaramente l’effetto specifico di ridurre il carattere specifico delle regioni a statuto speciale, poiché ora anche le regioni godono di autonomia legislativa, finanziaria e statutaria, ed è oltretutto loro consentito di negoziare con lo stato, come prevede l’articolo 116 comma 3 della Costituzione, «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» creando una sorta di specialità «diffusa».

Seguendo questo sistema si verrebbe a creare un regionalismo dove le autonomie regionali non devono presentare caratteri di assoluta omogeneità e questa tipologia si sta affermando nel sistema spagnolo.

Così grazie all’art. 116 comma 3 della Costituzione, le materie concorrenti hanno la possibilità di diventare di esclusiva competenza regionale e le materie di competenza statale potrebbero conoscere uno spazio regionale. La procedura per il trasferimento parte da un’iniziativa regionale che deve coinvolgere però gli enti territoriali minori ed in altri casi è necessario definire un’intesa con lo Stato secondo forme e procedure che devono essere definite dalla legge statale o regionale.

Questa tendenza alla «specialità diffusa», è una risposta alla crescente esigenza delle Regioni del nord che auspicano un’autonomia di tipo trasversale nonostante ci sia una difficoltà oggettiva a superare le specialità delle cinque regioni suddette.

Un profilo problematico potrebbe presentarsi nel caso in cui le regioni acquistino autonomie in materie per cui sono fissati livelli essenziali per l’intero territorio nazionale. Infatti qualora una regione si rivelasse incapace di soddisfare le prestazioni basilari con competenze rafforzate si potrebbe pensare all’aumento di tributi propri o una sorta di commissariamento o rientro delle competenze a livello statale.

Cronologicamente parlando si può affermare che le regioni del nord auspicano prima un’attuazione dell’articolo 116 Cost. comma 3 per potere definire le ulteriori forme di autonomia e poi l’attuazione del federalismo fiscale.

Le regioni del sud sono invece maggiormente interessate alla perequazione prevista dall’articolo 119 Cost., perchè timorose che le nuove competenze possano arricchire da subito le regioni settentrionali causando un notevole squilibrio.

Possiamo quindi affermare che da una gerarchia che metteva al primo posto la Costituzione repubblicana seguita come ordine di fonti dagli statuti della autonomie speciali e dai regolamenti ordinari, si passa ad un ordine che mette sulla stesso piano la Costituzione repubblicana e gli Statuti di cui dovrebbero dotarsi le regioni ordinarie.

L’articolo 3 della legge costituzionale della legge n. 3/2001 prescrive l’applicazione alle Regioni a Statuto Speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle nuove disposizioni nelle parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già presenti negli statuti odierni.

L’articolo 10 della stessa Legge Costituzionale non ha però comportato una formale modifica statutaria (la disposizione si apre infatti con l’espressione “sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti...”) e di conseguenza il testo dello Statuto non può essere diffuso in versione emendata, ma sicuramente una serie di disposizioni statutarie sono da considerarsi, a tutti gli effetti, modificate, soppresse o sostituite da quanto previsto agli stessi fini dalla Riforma costituzionale.

Di particolare importanza è il segnale di cambiamento offerto dalla legge costituzionale n. 2 del 2001 che ha introdotto forme varie di partecipazione della regione interessata alla modifica della propria “legge fondamentale”, da un lato affidando ad atti della regione elementi importanti come la forma di governo e la legge elettorale, dall’altro, ammettendo interventi della regione nel procedimento di approvazione della legge costituzionale recante il nuovo testo dello Statuto, tramite il riconoscimento alla regione di essere il proponente del nuovo testo dello statuto.

Se invece chi propone è un membro del parlamento o del Governo nazionale, la Regione ha il potere di dare parere sul testo approvato in prima lettura dalle camere.

Questo il primo caso di apertura verso l’ente regione, che entra a far parte del meccanismo di revisione costituzionale (art. 138 della Costituzione); in questo modo le regioni iniziamo ad essere protagoniste dell’autodeterminazione per quanto riguarda il proprio ordinamento. Questa garanzia è inevitabile visto che il novellato articolo 116 della Costituzione permette che, ulteriori forme di autonomia concernenti il terzo comma dell’articolo 117 Cost. e del secondo comma alla lettera l.

Inoltre, nel nuovo testo dell’articolo 117 Cost. è espressamente indicata la partecipazione delle Regioni a Statuto Speciale e delle province autonome alle decisioni dirette alla formazione di atti normativi comunitari in materie di loro competenza e la capacità di provvedere nell’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato. La completa soluzione dei problemi di coerenza tra le nuove competenze legislative attribuite alle Regioni a Statuto Ordinario e l’apparato normativo antecedente non può essere realizzata se non con l’emanazione dei nuovi statuti speciali che incorporino la nuova normativa.

Nella prima versione, invero, era contenuta una disposizione che, sulla scia di quanto previsto dall’articolo 1, comma 661, della legge n. 296/2006 cit. mirava a garantire il concorso delle Autonomie speciali al riequilibrio della finanza pubblica complessiva.

Essa prevedeva che ai bilanci delle regioni speciali venisse addebitata una frazione della spesa per interessi sul debito pubblico corrispondente all’incidenza dei proventi delle compartecipazioni al gettito tributario di ciascuna regione sul totale del gettito dei tributi erariali. A regime, tale addebito avrebbe dovuto tradursi in una riduzione della quota di compartecipazione al gettito dei tributi erariali. Inoltre, le Regioni speciali con livelli di reddito pro-capite superiore alla media nazionale erano escluse dal riparto dei fondi assegnati da leggi dello Stato.

Tale disposizione, molto osteggiata dai rappresentanti delle Autonomie speciali, è stata successivamente ritirata dal Governo e la definizione delle modalità del concorso delle stesse agli obiettivi nazionali di finanza pubblica è stata rinviata a successivi accordi bilaterali.

In particolare, l’articolo 18 prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province Autonome concorrano agli obiettivi di perequazione e solidarietà ed ai diritti e doveri da essi derivanti, e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme d’attuazione dei rispettivi Statuti da definire, con procedure previste dagli Statuti medesimi, entro il termine stabilito per l’emanazione dei decreti legislativi delegati.

Perciò, si dovrà tenere conto di questi elementi:

a) dimensione della finanza di ciascuna regione o provincia rispetto alla finanza pubblica complessiva;

b) funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri – anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, e dei livelli di reddito pro-capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi – rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e degli enti locali.

In questa fase di “adeguamento” degli Statuti costituzionali giunge si torna a riflettere sul significato attuale delle autonomie speciali “storiche” e comunque della loro emancipazione dall’incerto meccanismo provvisorio della clausola dell’art. 10 della legge cost.n.3 del 2001 che prevede: « Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite».

Per mantenere le proprie prerogative di autonomie speciali è emersa l’idea di una “sovranità” delle rispettive entità almeno nel senso della loro esistenza “originaria”, e comunque preesistente e indipendente dalla disciplina costituzionale che le ha giuridicamente costituite.

Queste idee sono state esplicitate nella “dichiarazione di Aosta” dai Presidenti delle Regioni e Province ad autonomia speciale (dicembre 2006), nella quale sono indicati i «principi cardine» delle rivendicazioni delle autonomie speciali: individualità e bilateralità dei rapporti di ciascuna di esse con lo Stato, sistema differenziato del regime degli enti locali, particolare regime finanziario; nella premessa di questa Dichiarazione viene messa in evidenza una peculiarità di tipo storico alle autonomie speciali basata su diversi fattori caratteristici delle regioni: insularità, territorio esclusivamente montano, frontalierità e minoranza linguistiche o culturali.

Questo pensiero lascia trasparire l’idea che gli ordinamenti speciali rappresentino una sorta di patto con lo stato e che l’autonomia della regione sarebbe non concessa da un atto unilaterale dello Stato, ma una condizione originaria, disciplinata da un patto costituzionale.