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La tutela del turismo nella giurisprudenza costituzionale

di Fabio Frisenda
Università degli Studi “Roma Tre”
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea in Giurisprudenza
Tesi di Laurea in Diritto Costituzionale
Relatore: Chiar.mo Prof. Alfonso Celotto
Anno Accademico 2015 - 2016

2.2 - La peculiarità del turismo e la sua “vocazione regionale”

Il turismo assume uno specifico e diretto rilievo nella Carta costituzionale sin dalla redazione originaria di quest’ultima, quale materia di competenza legislativa (concorrente) affidata alle Regioni a statuto ordinario (art. 117 Cost.).

A ciò si aggiungono le previsioni, anch’esse di rango costituzionale, contenute negli statuti speciali i quali, però, sin dalla loro adozione iniziale, hanno previsto, sia pure con varie formulazioni, una competenza potenzialmente esclusiva delle Regioni interessate nella materia de qua, così come si avrà modo di puntualizzare meglio in seguito.

Più in particolare, è opportuno evidenziare come in sede di elaborazione della nuova Costituzione, la seconda Sottocommissione, formata in seno all’Assemblea costituente per occuparsi della disciplina dell’ordinamento dello Stato, dovendo affrontare, tra l’altro, il tema controverso del decentramento statale e del possibile assetto delle autonomie63, finì per far convergere la discussione sul regionalismo e sui poteri da riconoscere all’ente regionale da istituire quale ente territoriale intermedio tra Stato ed enti locali. Il principale elemento qualificante di tale ente divenne proprio l’attribuzione allo stesso di un potere legislativo da esercitare (nel caso delle Regioni ad autonomia “ordinaria”) in materie espressamente elencate nell’art. 117 Cost. nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, oltre che nel rispetto dell’interesse nazionale e delle altre Regioni. Risultava così chiaro che tutte le altre, diverse (e, se si vuole, “residuali”) da quelle elencate, rimanevano nella competenza dello Stato (c.d. “clausola residuale” a favore dello Stato).

La scelta delle materie da ricomprendere in quell’elenco riguardò, essenzialmente, quei settori che risultavano tecnicamente legati all’economia ed al governo dei territori, ovvero quei settori che non avevano, in linea di massima, un rilievo economicoamministrativo di carattere nazionale e che, quindi, potevano, in teoria, consentire (o, secondo le aspettative dei regionalisti più convinti, richiedere) una disciplina differenziata su base locale (anche se, per la verità, nell’elenco alcune di tali materie risultavano, poi, accompagnate dall’espressione “di interesse regionale”).

Tra le materie di competenza “concorrente” previste dall’originario art. 117 Cost. era ricompresa, per l’appunto, quella inerente il “turismo e l’industria alberghiera”, sulla base di una formulazione letterale non priva di ambiguità, ma che attribuiva, comunque, alle Regioni un potere legislativo e, “di riflesso”, amministrativo (sulla base del principio del “parallelismo” delle funzioni di cui all’art. 118 Cost.) nella materia in oggetto, così prefigurando, in astratto, anche la possibilità di consentire, a livello regionale, l’elaborazione di veri e propri modelli locali di disciplina del turismo (sia pure nel rispetto dei limiti e dei vincoli già richiamati in precedenza) maggiormente rispondenti alle peculiarità dei territori, ed, eventualmente, oggetto di approcci, oltre che di contenuti normativi, differenziati capaci di esprimere una propria autonoma originalità.

In verità, non va trascurato come, nell’immediato secondo dopoguerra, il turismo risultasse un fenomeno essenzialmente d’élite, ancora limitato e circoscritto tanto sotto il profilo dell’ampiezza dei flussi turistici, quanto sotto quello economico-sociale.

Esso interessava, sostanzialmente, solo un limitato numero di località e ristrette fasce sociali, e non aveva ancora maturato quella più ampia funzione sociale che avrebbe assunto solo con l’avvento del vero e proprio turismo di massa e con la progressiva sensibilizzazione dei pubblici poteri nei confronti delle molteplici implicazioni di carattere economico e delle diverse finalità potenzialmente connesse al fenomeno turistico.

Probabilmente, anche per questo non vi furono particolari resistenze di fronte alla proposta di una parte dei Costituenti di attribuire questa materia alla sfera di competenza regionale.

D’altra parte, non si trascurò di considerarne talune intrinseche potenzialità, soprattutto di ordine economico, anche sulla scorta dell’esperienza precedentemente maturata, da un lato, con la creazione di una fitta rete di soggetti pubblici e privati di carattere locale (a cominciare dagli Enti provinciali del turismo e dalle Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo) e, dall’altro, con la costituzione dell’Enit (Ente nazionale italiano di turismo), avvenuta sin dal 1919 per favorire la ricostruzione del Triveneto anche con gli introiti derivanti dalle attività turistiche ed, in particolare, dalla promozione del turismo italiano all’estero.

Per quanto riguarda, poi, le Regioni alle quali l’art. 116 Cost. attribuiva “forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali”, era prevista in tutti gli statuti speciali stessi una competenza legislativa sostanzialmente primaria o esclusiva in materia di “turismo e industria alberghiera”, sia pure declinata con formulazioni non del tutto coincidenti l’una con l’altra per contenuto e portata (soprattutto se considerate alla luce del più ampio contesto ordinamentale di ciascuna Regione) e con l’indicazione di limiti variegata che, tuttavia, dottrina e giurisprudenza hanno finito con l’omologare.

Lo statuto siciliano, ad esempio, prevedeva una competenza (esplicitamente definita) “esclusiva” in materia di “turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio”, similmente a quanto previsto dallo statuto della Valle d’Aosta, mentre gli statuti della Sardegna, del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia (adottato, come noto, successivamente, nel 1963) ricalcavano, fondamentalmente, la formula “turismo e industria alberghiera” prevista dall’art. 117 Cost. per le Regioni ad autonomia “ordinaria” e, comunque, con varie, e anche diverse, indicazioni dei limiti.

Al di là dei problemi posti dall’adozione delle norme necessarie per attuare le discipline contenute negli statuti speciali, che pure incisero non poco sull’autonomia e sull’esercizio in concreto delle funzioni di queste Regioni (speciali), la competenza attribuita a queste ultime in materia di “turismo ed industria alberghiera” risultò, in generale, tendenzialmente più ampia rispetto a quanto previsto per le Regioni a statuto ordinario, trattandosi, per l’appunto, di una potestà soggetta a limiti complessivamente meno stringenti rispetto alla competenza concorrente prevista dell’art. 117 Cost., quantomeno sulla base di quanto previsto dagli statuti speciali e dalla Costituzione stessa.

Ad ogni modo, considerata nel suo complesso, la potestà legislativa regionale (tanto delle Regioni ordinarie, quanto di quelle speciali) in materia di “turismo e industria alberghiera”, sia pure nei limiti derivanti dal riparto “in orizzontale” ed “in verticale” delle competenze, ivi compreso il rispetto di clausole generali come quella relativa alla tutela dell’interesse nazionale, inteso come sintesi delle fondamentali istanze unitarie dell’ordinamento da garantire necessariamente a livello centrale (e destinata inevitabilmente ad incidere sull’esercizio delle funzioni legate alla competenza in esame sotto vari profili)74, sembra mostrare, per certi versi, il modo in cui l’ordinamento abbia, per così dire, “recepito”, ab origine, sul piano positivo, una intrinseca “vocazione” regionale del turismo, forse intesa non solo come espressione di interessi (a quell’epoca) non di preminente rilievo nazionale (nel senso cui si è già avuto modo di richiamare), ma anche come fenomeno indissolubilmente legato (e, se si vuole, da legare) alle diverse economie e peculiarità locali.