La tutela del turismo nella giurisprudenza costituzionale
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea in Giurisprudenza
Tesi di Laurea in Diritto Costituzionale
Relatore: Chiar.mo Prof. Alfonso Celotto
Anno Accademico 2015 - 2016
2.3 - La potestà legislativa regionale in materia di turismo e industria alberghiera
Se si considerano gli sviluppi immediatamente successivi all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana ed, in particolare, i primi passi mossi dalle Regioni a statuto speciale, essendo stata avviata, nell’immediato dopoguerra, la concreta attuazione solo di queste ultime (ad eccezione del Friuli Venezia Giulia), ci si accorge che la competenza in materia di turismo sembrava potersi legare al livello regionale di governo non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, sia per la sua connessione “tecnica” col territorio e con le specificità che contraddistinguono gli interessi locali, sia per la rete di enti ed associazioni (pro loco, enti provinciali del turismo, aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, etc.) già esistente e consolidata a livello comunale e provinciale.
Anche alla luce delle varie “norme di attuazione” degli statuti speciali76, infatti, è possibile cogliere le specifiche modalità in cui si cercò di mettere a fuoco e di valorizzare tali presupposti. Basti considerare, ad esempio, tra le varie funzioni trasferite alle Regioni speciali ed alle Province autonome, quelle (esercitate sino ad allora sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato, sia per il tramite di enti e di istituti pubblici a carattere nazionale) riguardanti la direzione, l’indirizzo e la gestione di enti e soggetti già operanti a livello locale nel settore turistico (enti provinciali del turismo, aziende di cura e soggiorno pro loco, etc.) e che sembravano costituire la vera spina dorsale degli strumenti di sostegno e promozione del settore.
Di questi enti e soggetti, in particolare, non si sanciva solo (proprio attraverso i decreti attuativi in questione) un mero “cambio di guida” degli stessi (sostanzialmente, non più “a trazione” statale), ma si delineava anche più chiaramente, e si rafforzava significativamente, il loro legame col territorio e col livello di governo regionale. Nel contesto generale appena richiamato, non mancavano, tuttavia, elementi che sembravano seguire una logica non propriamente in sintonia con quanto previsto dalla Costituzione in termini di decentramento ed autonomia regionale, a cominciare dal rafforzamento, avvenuto già nei primi anni di vita del nuovo ordinamento repubblicano, del livello centrale di governo in materia di turismo.
Parallelamente alla progressiva attuazione del nuovo assetto ordinamentale, infatti, vi fu, in questa prima fase (che durò fino alla fine degli anni ’50), la costituzione di organi statali derivati dalla trasformazione del vecchio Commissariato per il turismo, già previsto dall’ordinamento previgente, i quali divennero titolari di tutte le funzioni che, in teoria, sarebbero dovute essere presto “trasferite” (rectius: in realtà semplicemente “passate”) alle Regioni.
In effetti, a fronte di un modello di disciplina e di governo del turismo astrattamente prefigurato, se non proprio previsto, dall’ordinamento, che mostrava, peraltro, elementi di sicuro interesse soprattutto per le prospettive di decentramento politico oltre che organizzativo dello stesso, nonché per le possibilità di ulteriore valorizzazione ed innovazione delle molteplici figure soggettive pubbliche e private già operanti nel settore, si affermò non solo una organizzazione pubblica del turismo a “trazione statale”, così come era inevitabile che fosse nelle immediate circostanze, non essendo stata ancora avviata l’operatività delle Regioni a statuto ordinario, ma anche una “visione” generale di tale organizzazione pervicacemente stato-centrica, in grado di “ipotecare” il futuro assetto del comparto turistico.
Da un lato, si registrava, infatti, la perdurante inattuazione e, per certi versi, una sorta di “rimozione” del disegno regionalista e, dall’altro, veniva istituito, con la legge 31 luglio 1959, n. 617, il Ministero del turismo e dello spettacolo quale vera e propria chiave di volta del governo del settore.
Il Ministero de quo, in realtà, avrebbe dovuto consentire, in linea di principio, una sistemazione organica della materia ed una futura riorganizzazione pubblica del settore soprattutto in ordine alla individuazione delle funzioni da “trasferire” o delegare alle Regioni, ma in realtà finì per rafforzare un apparato organizzativo basato su di un modello che è stato definito “policentrismo informale”79 e che sembrava poggiare, fondamentalmente, su un assetto di governo del turismo (tra l’altro, associato allo “spettacolo” più sulla base di considerazioni di natura sociologica e culturale che su veri e propri interessi interrelati) saldamente incardinato sull’esercizio accentrato di poteri di individuazione, di decisione e di controllo delle politiche di settore.
La disciplina e l’organizzazione del Ministero del turismo e dello spettacolo, infatti, pur prevedendo che questo operasse non solo direttamente con propri organi, ma anche attraverso enti periferici dotati di personalità giuridica e formalmente autonomi, avevano, di fatto, posto le basi per un rafforzamento progressivo, più che “di transizione” (ovvero giustificabile solo in via temporanea, in attesa dell’attuazione del decentramento regionale), della funzione dello Stato e del valore unitario di fondo di tutta la materia.
Anche gli sviluppi che seguirono, quindi, non risultarono, per molteplici motivi, troppo coerenti rispetto a quanto previsto dalla Carta costituzionale, soprattutto in ordine all’attuazione dell’intero disegno regionalista, prima ancora che dello specifico decentramento della disciplina e delle politiche del turismo.
È noto, infatti, che si dovette aspettare quasi vent’anni per assistere all’avvio dell’attuazione delle Regioni a statuto ordinario, ovvero all’approvazione, oltre che della legge del 1968 per la elezione dei primi consigli, della c.d. legge “finanziaria” del 1970 e dei successivi (undici) decreti delegati del 1972 che da quella stessa legge traevano origine, per procedere al concreto “trasferimento” di funzioni dallo Stato alle Regioni.
Un’attuazione dell’autonomia regionale, questa, che risultò, come noto, non solo tardiva, ma anche parziale e “frammentaria”, oltre che attenta più alla salvaguardia delle funzioni di livello statale e degli interessi “unitari”, che all’esigenza di individuare, per così dire, “organicamente” i poteri e gli ambiti di intervento regionali, così come sembrava richiedere, tra l’altro, la stessa legge di delega (all’art. 17, co. 1, lett. b). In questo contesto, non certo esaltante per l’istanza regionalista, la materia “turismo e industria alberghiera” fu oggetto specifico del decreto legislativo n. 6/72, col quale sembrò realizzarsi uno dei “trasferimenti” di funzioni di settore “a più intensa regionalizzazione”, perlomeno rispetto a quanto previsto per le altre materie. Il decreto in parola sembrava consentire, in effetti, adeguati spazi di intervento regionale che comprendevano, tra l’altro, “la programmazione, lo sviluppo e l'incentivazione del turismo regionale” e, soprattutto, il governo ed il controllo di enti, istituzioni e organizzazioni “operanti in materia di turismo a livello locale” (comprendenti, innanzitutto, gli Enti provinciali del turismo, le aziende autonome di cura, soggiorno o turismo e le stazioni di cura, per l’importanza strategica che avevano assunto).
Non a caso, quando alcune Regioni decisero di impugnare cinque degli undici decreti adottati per violazione, sotto vari profili, degli artt. 117, 118 ed VIII disp. trans. della Costituzione, nonché dei principi contenuti nella legge di delega, fecero, per così dire, “salvo” il summenzionato decreto n. 6/72, ritenendolo, evidentemente, meno restrittivo, o forse persino soddisfacente, rispetto ai decreti impugnati che avevano ad oggetto altre materie, magari ritenute, sotto taluni profili, di maggior rilievo, oltre che maggiormente “penalizzate”, quali agricoltura e foreste, urbanistica, assistenza sanitaria, beneficenza pubblica, fiere e mercati.
In realtà, il concreto esercizio della competenza regionale in materia di “turismo e industria alberghiera” risultò, comunque, profondamente condizionato e, per molti versi, anch’esso inficiato (al pari di altre materie maggiormente “penalizzate” dal passaggio, per così dire, “limitato” di funzioni) sia dalla mancanza di una legislazione-quadro, sia dal perdurante accentramento sostanziale della programmazione delle politiche in materia, un accentramento che risultava, peraltro, ulteriormente rafforzato dall’esercizio, da parte dello Stato, della c.d. funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali.
Tale funzione, infatti, prevista dalla l. n. 281/70 per controbilanciare i “trasferimenti” di funzioni per settori organici di materie ivi delegati (ma, poi, realizzati, come si è avuto modo di fare cenno, restrittivamente, operando numerosi ed ampi “ritagli” di materie e funzioni da lasciare alla competenza statale), avrebbe consentito allo Stato stesso di incidere ben oltre quanto sarebbe stato lecito aspettarsi, non solo sul piano, esplicitamente previsto, dell’attività amministrativa, ma, soprattutto sulla scorta della lettura che ne diede la Corte costituzionale, anche su quello legislativo, al fine di tutelare le “esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi del programma economico nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali” di cui all’art. 17, co. 1, lett. a. della legge stessa.
Il Giudice delle leggi, infatti, ritenendo la funzione di indirizzo e coordinamento, sin dalle prime battute, «il risvolto positivo di quel limite generale del rispetto dell'"interesse nazionale e di quello di altre regioni", che l'art. 117 espressamente prescrive alla legislazione regionale e cui è preordinato il controllo successivo detto comunemente "di merito", spettante al Parlamento», avallò, di fatto, una diffusa ingerenza statale nelle materie di competenza regionale effettuata in nome della tutela di (innominati) interessi unitari.
Anche con la c.d. “seconda fase” del “trasferimento” di funzioni alle Regioni, avviata con la legge n. 382/75 e realizzata col d.P.R. n. 616/77, che pure determinò un rafforzamento generale (ancorché “timido”) dell’autonomia regionale per mezzo del “completamento” del passaggio delle funzioni, in materia di turismo e industria alberghiera, fu sostanzialmente confermato l’impianto già esistente (ed, ormai, sotto molti aspetti consolidato) lasciando, tra l’altro, impregiudicato il modello ministeriale di organizzazione del settore, e rilanciando integralmente la funzione statale di indirizzo e coordinamento.
Proprio alla luce della natura assunta dalla funzione da ultimo richiamata, nonché della sua lettura “estensiva” ormai consolidata nella giurisprudenza costituzionale e delle connesse esigenze di tutela delle istanze unitarie non frazionabili a livello sub-statale, la Corte costituzionale farà totalmente salva, tra l’altro, la legge quadro per il turismo del 1983, che conteneva la disciplina generale della materia entro cui le Regioni avrebbero potuto legiferare (ma che finiva per limitare notevolmente, “in verticale”, gli spazi di formazione regionale), e che era stata impugnata sia da Regioni a statuto ordinario, che da Regioni ad autonomia speciale, principalmente sotto il profilo specifico delle modalità di esercizio e dei fini propri della funzione di indirizzo e coordinamento previsti dalla stessa legge quadro. In tale occasione, la Consulta, con la sentenza n. 195 del 1986 (una decisione che arriva, dunque, dopo ben tre anni dall’entrata in vigore della legge in questione), ritenne che le forme di esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento previste dalla legge impugnata, non fossero invasive né della competenza concorrente di cui erano titolari le Regioni a statuto ordinario, né della potestà legislativa primaria delle Regioni ad autonomia speciale, ribadendo, in linea con l’interpretazione (tutt’altro che pacifica) messa a fuoco già nella sent. n. 39/71, che la funzione di indirizzo e coordinamento trovava fondamento direttamente nella Costituzione quale “risvolto positivo” dell’interesse nazionale, e ritenendo, altresì, che tale funzione potesse «essere prevista dalla legge ordinaria dello Stato nei confronti di tutte le Regioni, indipendentemente dal grado o tipo di autonomia a queste riconosciuto».
Ad ogni modo, il passaggio complessivo delle funzioni in materia di “turismo e industria alberghiera” alle Regioni a statuto ordinario, pur riguardando una delle materie ritenute (rispetto alle altre) “a più alto tasso di regionalizzazione”, non sembra aver offerto, in ultima analisi, né lo “strumento giuridico” idoneo e/o sufficiente per consentire una compiuta articolazione regionale della disciplina e del governo del settore turistico, né una attuazione coerente del disegno costituzionale che pure sembrava aver fatto propria, ab origine, una sostanziale “vocazione regionale” del fenomeno turistico attraverso il suo inquadramento come materia di competenza regionale (concorrente o primaria, a seconda del tipo di autonomia attribuita alle Regioni stesse).
Le Regioni, infatti, finirono per occuparsi più di “amministrazione” che di “legislazione”, appiattendosi sulla normativa statale preesistente e non riuscendo, in definitiva, ad elaborare dei veri e propri modelli di disciplina del turismo differenziati (ovviamente nel quadro dei limiti costituzionali e legislativi previsti), nemmeno in seguito all’ulteriore rafforzamento delle prerogative regionali in materia determinato dal passaggio alle Regioni stesse di pressoché tutte le funzioni appartenenti al Ministero del turismo e dello spettacolo (soppresso in seguito al referendum del 15 aprile del 1993). Nel contesto, poi, del successivo significativo rafforzamento dell’autonomia regionale e del decentramento amministrativo avviato, a Costituzione invariata, dalle c.d. “riforme Bassanini” ed, in particolare, dalla legge di delega 15 marzo 1997, n. 59, e dal conseguente decreto delegato 31 marzo 1998, n. 112, si dovette registrare la scarsa rilevanza ed incisività delle norme in materia di “turismo e industria alberghiera” (artt. 43-46 del d.lgs. 112/98)95, tra le quali vi era, piuttosto, la previsione di definire, con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base di una intesa con le Regioni, «principi e obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico».
In questo modo si affidava, emblematicamente, ad una fonte secondaria la determinazione di norme di principio della materia con la conseguenza di rendere il rapporto tra fonti regionali e fonti statali, oltre che il riparto “verticale” di competenze normative, ancora più problematico di quanto già non lo fosse e, per molti versi, non perfettamente in asse con la Carta costituzionale.