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Bed and Breakfast e strategie di marketing: il caso Sicilia

di Eugenio Chiarello
Università Telematica Pegaso
Corso di Laurea in Scienze Turistiche
Insegnamento di Teorie e Tecniche della Comunicazione
Relatore: Chiar.mo Prof. Giorgio Mulè
Anno accademico: 2015-2016

3.5 - Il caso Airbnb e la sharing economy

Negli ultimi anni si parla sempre di più di sharing economy e si rincorrono sui giornali notizie ed articoli sull’arrivo nel mercato italiano di realtà quali Uber, Airbnb, Gnammo e molte altre aziende sviluppatesi secondo i paradigmi di questo nuovo modello economico.

Sicuramente è un fenomeno che sta rivoluzionando il nostro modo di consumare, tant’è che nel marzo 2011 la rivista Time identificò l’economia della condivisione come una delle 10 idee che avrebbero cambiato il mondo, soprattutto nel settore turistico: basti pensare che, solo in Italia, il 15% delle piattaforme collaborative esistenti riguarda proprio questo settore.

La sharing economy è un modello economico basato su pratiche di scambio e condivisione tra privati, siano questi beni materiali, servizi o conoscenze, che vuole proporsi come alternativo al consumismo classico, facendo leva invece su una migliore allocazione delle risorse già esistenti ed evitando così gli sprechi. Secondo l’economista Jeremy Rifkin l’economia della condivisione è “l’unica soluzione che può, in breve tempo, salvare una specie, quella umana, che altrimenti potrebbe non vedere la fine del secolo”.

In questi ultimi anni c’è stato un crescente successo di questo modello economico, dai portali per il car sharing come Bla Bla Car o Car2go al social eating proposto da Gnammo, dai circuiti di credito commerciale come Sardex alle varie piattaforme online di crowdfunding (cioè di microfinanziamento dal basso, invece dei canali di finanziamento tradizionali). Senza dimenticare un esempio ormai “storico” come Wikipedia, l’enciclopedia collaborativa online.

Emblematico risulta il caso di Airbnb, piattaforma statunitense che mette in contatto persone in ricerca di un alloggio o una camera per brevi soggiorni, che in pochissimi anni ha conosciuto una crescita esponenziale diventando di fatto uno dei principali competitor internazionali nel campo dell’accoglienza.

Nel 2015 gli host e i guest italiani di Airbnb, cioè coloro che hanno proposto e affittato stanze o intere abitazioni tramite la piattaforma, hanno prodotto un impatto economico da 3,4 miliardi di euro ospitando, solo negli ultimi dodici mesi, 3,6 milioni di viaggiatori. Numerose sono, non a caso, le critiche giunte da parte delle associazioni di categoria, che denunciano una mancanza di sicurezza per i clienti e una elevata evasione fiscale degli host.

Nata inizialmente come punto di incontro tra privati, la piattaforma è molto usata anche dai gestori di Bed and Breakfast e di case vacanze gestiti in forma imprenditoriale, in virtù della sua ampia diffusione e delle tariffe più basse rispetto ad altri portali OTA come Booking.

Nel 2015 in Italia 83.300 host hanno aperto le porte di casa ai turisti. Il loro guadagno medio è stato di 2.300 euro l’anno. Ogni ospite è rimasto in media 3,6 notti (contro una media di 3 negli hotel). Airbnb si conferma inoltre una piattaforma per le case: il 73% degli annunci riguarda infatti abitazioni intere e solo il 26% stanze private.

Dal punto di vista legislativo non esiste una regolamentazione specifica della materia; per gli host non professionali ci si basa dunque sulla legislazione vigente per le “case vacanza e appartamenti a uso turistico”. Sono attualmente allo studio sia alla Camera dei Deputati che al Parlamento Europeo delle nuove normative specifiche per la sharing economy.

A fini fiscali, come per i B&B, anche nel caso di stanze o appartamenti messi in offerta su Airbnb bisogna valutare la presenza o meno di organizzazione aziendale, la continuità temporale dell’attività e i volumi di reddito generati per stabilire se l’attività sia di tipo imprenditoriale (e necessita quindi di Partita IVA) o saltuaria (da tassare in sede di dichiarazione dei redditi, alla voce redditi diversi; cfr. 2.1).