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Il Carnevale in Veneto

Il Carnevale in Veneto

Ceggia
Nella storia del Carnevale di Ceggia possiamo distinguere due periodi: il primo va dal 1954 al 1958, il secondo, dopo una breve interruzione, inizia nel 1964 e dura ancor oggi.
Le vicende della fase più lontana, essendo affidate unicamente alla memoria delle persone che l'hanno animata e ai ricordi affettivi legati a qualche fotografia, sono difficili e complesse da ricostruire.
L'abitudine spontanea di mascherarsi l'ultimo giorno di carnevale, scherzare insieme mangiando frittelle e galani (da noi detti fritoe e crostoi) , è antica, difficilmente databile, legata a un bisogno spontaneo di allegria e ricca di implicazioni antropologiche.
In questa cornice si inseriva a Ceggia l'attività dei gruppi parrocchiali guidati dai cappellani.
Si trattava di animare la giornata del carnevale, di organizzarla perché diventasse una festa di tutti i giovani del paese e, non ultimo, di dare ad essa una valenza cristiana.
Il Carnevale di Ceggia, che dal 1964 ha cominciato a chiamarsi "Carnevale dei Ragazzi", è sicuramente, per la durata di una lunga tradizione quasi ininterrotta e per il livello delle opere realizzate, una delle manifestazioni più interessanti del Veneto Orientale.
È stato fin dall'inizio un mezzo attraverso il quale una generazione di ciliensi ha tradotto fantasie, umori e aspirazioni in immagini ricche di suggestione, ora sapientemente ridanciane, ora scosse dal gustoso morso dell'ironia e della satira. Sembra dimostrare, inoltre, che un ampio dinamismo culturale si è avviato in quello che fino a pochi decenni fa pareva un universo dalle trasformazioni lente e impercettibili.
Il "Carnevale dei Ragazzi" è dunque un dono prezioso a una generazione più giovane che già sembra comprendere e raccogliere questa viva eredità. Tratto dal libro "TRENT'ANNI DI CARNEVALE A CEGGIA" Giunti al 3° Millennio, i ragazzi del Carnevale di Ceggia continuano a creare con rinnovato entusiasmo magnifiche opere di cartapesta.
www.carnevaleceggia.it

C'è una donna del paese che già da diversi anni, fortunatamente per noi, continua a realizzare, con grande passione, gli abiti di lachè e matazin, e già dal mattino presto, nel giorno della mascherata, ospita in casa propria i due giovani, che saranno le maschere principali del carnevale, per completare la complicata operazione della vestizione.
Entrambi i costumi presentano più o meno la stessa figura: calzini bianchi con strisce colorate, scarpe con fiori in carta crespa, pantaloni di seta colorati, strati di fazzoletti di rete, di mussola, di seta, baveri e guanti bianchi e sul capo un cilindro che in dialetto ladino è definito "baretòn" o "calottä", addobbato con collane, spille e 100 nastri colorati.
La differenza tra le due maschere sta nel colore dei costumi: il lachè, che apre la sfilata correndo, veste un abito con dei colori chiari (rosa, giallo, azzurro), il matazin invece, che lo segue ballando davanti al gruppo musicale, veste un abito con colori più scuri (rosso, blu e verde).
Questi personaggi, dopo i caratteristici balli rituali del mattino e del pomeriggio che si svolgono nella piazza del paese, offrono agli spettatori, come porta fortuna, dei confetti contenuti in una bomboniera che essi tengono in mano; nell'altra mano invece reggono, a mo' scettro, un bastone colorato.
La mascherata si svolge con due sfilate, una al mattino ed una al pomeriggio, ognuna delle quali vede lachè e matazin accompagnati da un gruppo musicale, composto da fisarmonica, chitarra, contrabbasso e violini, che suona la ballata tipica del luogo, ovvero la "veciä", una sorta di polka, vengono poi a seguire coppie e gruppi di maschere "da bello" (le maschere più ricche, colorate e raffinate), le matazere, ovvero la versione femminile e più povera di lachè e matazin, e solitamente sono due ragazze che sfilano ballando, il loro abito è simile a quello delle due maschere principali, ma presenta colori scuri, con fazzoletti neri a fiori, il copricapo, simile anch'esso a quello di lachè e matazin, è colmo di bottoni, pasta, tappi, spighe, ed al posto dei nastri ha delle cravatte.
Dietro a queste due maschere viene un'altra orchestra, seguita a sua volta dalle coppie di maschere "da vecchio", che raffigurano i tempi passati, e sul viso portano dei volti in legno, scolpiti ed intagliati a mano da abili artisti locali.
A volte, per chiudere il corteo, compaiono alcuni carri allegorici di vario genere, creati da gruppi di persone che, con molte ore di fatica dedicate ad allestirli, creano e rappresentano, in maniera satirica e scherzosa, scene di vita quotidiana del luogo, oppure eventi d'attualità.
I guardiani della mascherata sono i pagliacci, ovvero una maschera tipo clown, abbigliata con abiti larghi e coloratissimi, e che sono contraddistinti dalla "sunaièra", cioè un insieme di campanelle legate tra loro, poste sotto il costume, pronte a risuonare ad ogni movimento, essi, abili destrieri, oltre a scortare sempre lachè e matazin, controllano l'andamento della sfilata e combinano, spesso e volentieri, dei divertenti scherzi agli spettatori, ravvivando la festa.
Una volta terminata la sfilata, prendono il via i balli in piazza, e tra questi spicca il tradizionale ballo "per il lachè e il matazin" e quello "per le matazere", a cui fanno seguito dei balli riservati alle maschere e quelli invece aperti a tutti, in questo modo la mascherata si ravviva d'entusiasmo, allegria e divertimento.
Nel tardo pomeriggio comincia il "giro dei bar", lì tutte le maschere approfittano per rifocillarsi, magari con un "grigioverde".
Ad ora tarda c'è la cena in compagnia, e in seguito, verso le 21, tutti si radunano presso la taverna Bellavista, il tradizionale ritrovo serale, per continuare a ballare e a divertirsi fino a notte fonda.
www.cheidsantaplonia.it

Monteforte d'Alpone
C'era una volta… il carnevale di Monteforte. Ufficialmente nasce nel 1949 uno dei più longevi carnevali della provincia veronese, proprio mentre nel paese e in tutta la vallata si stavano stemperando le tensioni della vicina guerra. Fin dagli albori del secolo scorso Monteforte ha visto affermarsi tra la sua gente questo spirito pazzerello e buontempone che lo caratterizza: "Veronesi tuti mati". La tradizione carnevalesca si innesta quindi con tutto il suo bagaglio di scherzi, burle e travestimenti nella tipica espressione popolare contadina del "trar marso". Testimonianze verbali ricordano che già verso la fine del 1800 si ritrovano i primi spunti dello spirito del carnevale, mentre sono del 1920 le prime foto di feste mascherate e sfilate con carri.
www.prolocomonteforte.org

Verona
Le origini del Carnevale di Verona si perdono nella notte dei tempi. Può essere considerato sicuramente il carnevale più antico d'Europa arrivato ai giorni nostri, e coinvolge in maniera appassionata e viva tutta la popolazione veronese.
Risalente al tardo medioevo, il Carnevale di Verona (il nome originale è Bacanàl del Gnoco) affonda le sue radici ai tempi di Tomaso Vico, medico del XVI secolo che lasciò nel suo legato testamentario l'obbligo di distribuire annualmente alla popolazione del quartiere di San Zeno (dove si trova l'omonima Basilica) viveri ed alimenti.
Nella "Istoria Veronese" scritta da Girolamo Dalla Corte si narra che, a causa di inondazioni devastanti dell'Adige (1520-1531) e delle incursioni dei Lanzichenecchi di Carlo V che combattevano Francesco I in Lombardia, la città di Verona era ridotta ad una carestia senza precedenti.
Date le circostanze e la precarietà nel reperire le materie prime, i "pistori" (fornai) avevano cresciuto il loro calmiere per la produzione del pane. Essendoci scarsità di risorse monetarie per l'acquisto del pane da parte della popolazione e al tempo stesso scarso interesse a produrre quindi il pane, i fornai decisero di bloccare la produzione, non vendendo nemmeno quello già pronto. Ma il 18 giugno 1531 il popolo insorse in quel di San Zeno, dando l'assalto ai fornai e accaparrandosi pane e grano.
La rivolta generale fu scongiurata grazie all'intervento di alcuni cittadini, che a proprie spese decisero di contribuire alla rifocillamento degli abitanti più poveri del quartiere, nel numero di dodici e su nomina. La tradizione dice che tra gli eletti ci fosse anche il Da Vico, indicato come "istruttore e restauratore" del "Baccanale del Gnocco", avendo di sua volontà distribuito viveri (pane, vino, burro, ecc.) ai "sansenati".
Nella piazza di San Zeno esiste un tavolo in pietra: è qui che venivano invitati i poveri nel venerdì precedente la quaresima, detto "Venardi Consolàr" (venerdì consolatore). Adiacente sorge il piccolo monumento del Da Vico (morto nel 1531), il cui epitaffio recita: "Thomas Vicus Philosoph, Medicus et inter rarissimos praeclarus, hic et in his se jussit claudi lapidibus hoc asserens si vixi, resurgam. anno MDXXXI".
www.carnevalediverona.it