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La tutela del turismo nella giurisprudenza costituzionale

di Fabio Frisenda
Università degli Studi “Roma Tre”
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea in Giurisprudenza
Tesi di Laurea in Diritto Costituzionale
Relatore: Chiar.mo Prof. Alfonso Celotto
Anno Accademico 2015 - 2016

1.4 - Il principio di sussidiarietà

Il principio di sussidiarietà è stato introdotto – insieme a quello di differenziazione ed adeguatezza - soltanto con la riforma del titolo V della parte II Costituzione (art. 118 Cost., come introdotto con la l. cost. n. 3/2001), che ora prevede che «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza».

Tale principio attiene ai rapporti tra i diversi livelli territoriali di potere e comporta che, da un lato, lo svolgimento di funzioni pubbliche debba essere svolto al livello più vicino ai cittadini e, dall’altro, che tali funzioni vengano attratte dal livello territorialmente superiore solo laddove questo sia in grado di svolgerle meglio di quello di livello inferiore.

Inoltre è codificato in una disposizione costituzionale che non riguarda specificamente la funzione legislativa. Dopo la riforma del 2001 il principio di sussidiarietà costituisce uno dei punti di emersione di quel «variabile livello degli interessi» che ha segnato tanta parte della giurisprudenza costituzionale ante riforma. Ciò spiega perchè la Corte assume come punto di partenza del suo ragionamento le istanze unitarie.

A fronte della lettura rigida del riparto di competenze legislative disegnato dal nuovo art. 117 Cost., osserva che «limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, significherebbe circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze».

Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto:

  • in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più vicini al cittadino e, quindi, più vicini ai bisogni del territorio;
  • in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo sia attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più vicine.

La crescente richiesta di partecipazione dei cittadini alle decisioni e alle azioni che riguardano la cura di interessi aventi rilevanza sociale, presenti nella nostra realtà come in quella di molti altri paesi europei, ha dunque oggi la sua legittimazione nella nostra legge fondamentale. Quest'ultima prevede, dopo la riforma del Titolo V, anche il dovere da parte delle amministrazioni pubbliche di favorire tale partecipazione nella consapevolezza delle conseguenze positive che ne possono derivare per le persone e per la collettività in termini di benessere spirituale e materiale.

In effetti l'applicazione di questo principio ha un elevato potenziale di modernizzazione delle amministrazioni pubbliche in quanto la partecipazione attiva dei cittadini alla vita collettiva può concorrere a migliorare la capacità delle istituzioni di dare risposte più efficaci ai bisogni delle persone e alle soddisfazione dei diritti sociali che la Costituzione ci riconosce e garantisce.

Da un lato alcune amministrazioni pubbliche hanno già intrapreso iniziative volte a favorire la sussidiarietà orizzontale e dall'altro la società civile si è mossa nella stessa direzione con azioni concrete sostenute peraltro da una parallela attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, di ricerca e di documentazione e, più in generale, di approfondimento scientifico del fenomeno.

I cittadini attivi, applicando il principio di sussidiarietà (art. 118 ultimo comma della Costituzione), si prendono cura dei beni comuni. Entrambi, volontari e cittadini attivi, sono "disinteressati", in quanto entrambi esercitano una nuova forma di libertà, solidale e responsabile, che ha come obiettivo la realizzazione non di interessi privati, per quanto assolutamente rispettabili e legittimi, bensì dell'interesse generale.

Quando la Costituzione afferma che i poteri pubblici "favoriscono le autonome iniziative dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà", essa legittima da un lato i volontari tradizionali, che da sempre svolgono attività che si possono definire di interesse generale, e dall'altro quei soggetti che si definiscono cittadini attivi, persone responsabili e solidali che si prendono cura dei beni comuni.

Le istanze unitarie, che si fondano sul principio di unità e indivisibilità della Repubblica, giustificano l’utilizzo dei «congegni volti a rendere piu` flessibile» il riparto e fra questi il principio di sussidiarietà. Alla luce di tale costruzione teorica che evidenzia la «vocazione dinamica» del principio di sussidiarietà, la Corte ammette che lo Stato possa attrarre a sè funzioni amministrative relative alle materie regionali e possa disciplinarle con proprie leggi.

Il canone della «chiamata in sussidiarietà» consente alle leggi statali che attraggono funzioni amministrative regionali verso gli apparati centrali di superare indenni il giudizio di costituzionalità17. Tipico è il caso in cui la legge statale di dettaglio in materia concorrente supera il controllo di costituzionalità grazie alle esigenze unitarie che giustificano la «chiamata in sussidiarietà».

Al contrario, l’assenza delle esigenze unitarie rende illegittima la legge statale che abbia attratto funzioni amministrative regionali verso organi amministrativi dello Stato. Sempre che vi siano le condizioni, la legge statale può effettuare la «chiamata in sussidiarietà» anche nelle materie residuali.

Fin dalla sentenza n. 303/2003, la Corte ha chiarito che la valutazione dell’interesse pubblico che giustifica l’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato deve risultare proporzionata e non irragionevole alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità. Pertanto, l’assunzione sproporzionata delle funzioni regionali porta all’illegittimità della legge statale (C. Cost. n. 214/2006, relativamente alla costituzione di un comitato che svolga «una generale attività di coordinamento delle complessive politiche di indirizzo di tutto il settore turistico»).

Ciò è coerente con la concezione, costantemente ribadita dalla Corte, secondo cui la leale collaborazione costituisce il principio cardine dei rapporti Stato-Regioni.

D’altra parte, l’utilizzo contemporaneo del principio di leale collaborazione con il principio di sussidiarietà, fa assumere al principio di leale collaborazione un significato di legittimazione della rinuncia regionale all’esercizio delle proprie competenze amministrative. A ciò si aggiunge che nelle ipotesi di funzioni assunte in sussidiarietà, «non vi è alcuna prescrizione costituzionale dalla quale possa desumersi che il livello di collaborazione regionale debba consistere in una vera e propria intesa, anziché nella richiesta del parere del Presidente della Regione».

Posto che il livello e gli strumenti della collaborazione possono variare «in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e all’intensità delle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte», la via della leale collaborazione può finire in un vicolo cieco qualora sia previsto lo strumento piu` vincolante, ossia l’intesa, e le parti non raggiungano un accordo.

Il rischio che in questi casi si determini una situazione di stallo che rende opportuno prevedere «meccanismi idonei a superare l’ostacolo che, alla conclusione del procedimento, oppone il mancato raggiungimento di un accordo sul contenuto del provvedimento da adottare».