
L’autunno è il mese dei colori più belli e più caldi. E’ il momento della vendemmia, del raccolto, del ritorno del bestiame dagli alpeggi. Da nord a sud, in tutta Italia è il momento in di danze, musiche e banchetti in onore della frutta e delle verdure di stagione. A voler ben guardare Ottobre è il mese delle
Sagre, delle passeggiate tra i boschi, delle gite in campagna, delle degustazioni. I colori sono quelli dei funghi, delle castagne, delle mele in tutte le loro varietà, delle pere, dei cachi, delle zucche. E insieme alla varietà destinata alla fruttiera classica, in ottobre maturano i frutti spontanei e un po’ dimenticati: giuggiole, corbezzole, nespole, sorbe, corniole che di solito non si trovano nei punti vendita. Hanno la polpa dolceamara e il sapore genuino che emana un fascino speciale, leggermente selvatico. Sono frutti della memoria, recuperati da un passato lontano e anch’essi celebrati ogni anno, e con successo crescente, da diverse manifestazioni. A ottobre la Sicilia si riempie dei colori dei fichi d’India che spuntano dai filari al limitare dei campi, sulle scarpate ai margini delle strade o accanto a vecchie masserie abbandonate. E dalla Sicilia al Trentino, i pastori delle Valli lasciano le malghe, i loro rifugi sull’alpe, per scendere a valle con il bestiame e fare festa con balli, canti, abbuffate di formaggi, frutta, vini tipici. In
Piemonte a
Cuneo i “mundaiè” cucinano i marroni sulla brace e gli artigiani delle Alpi del mare offrono cuneesi e
birra alla castagna. Quest’ultima si festeggia in
Alto Adige con una festa di una settimana alla quale partecipano anche ristoranti e trattorie dove si gustano piatti tipici. A qualche centinaia di chilometri a
Marradi, nel Mugello vicino Firenze c’è la
Sagra della Castagna o dei Marroni, giunta alla 43^ Edizione. Qui si possono assaggiare tutte le specialità culinarie a base di castagne: tortelli di marroni, torte di marroni, il castagnaccio (dolce tipico toscano), la varie marmellate di marroni, le caldarroste.

Ma non sono solo le castagne protagoniste del mese di ottobre, queste ultime si contendono il campo con i
funghi. Porcini, Finferli, Chiodini, Ovoli e molte altre specie di fungo invitano curiosi ed esperti "fungaioli" alle passeggiate in mezzo ai boschi. Ultimamente si è anche diffusa la possibilità di alloggiare presso strutture semplici e accoglienti, arredati in perfetto stile montano, che organizzano escursioni con micologi. Quasi tutti forniscono i tesserini comunali di autorizzazione per la raccolta dei funghi, e, alla sera, di ritorno dalla raccolta, è di rigore gustare un abbondante piatto di polenta con i funghi. Quando l’autunno colora con le sue tonalità calde i boschi dell’Appennino il meteo diviene il programma più seguito. I fungai, i ristoratori, i negozianti scrutano il cielo in cerca di nuvole che portino piogge abbondanti alternate e giornate di sole caldo e poco ventilate. Chi vuole cimentarsi nella raccolta dei funghi può recarsi in una delle tante comunalie, territori boschivi a uso civico la cui istituzione risale ai primi romani. Qui dopo aver chiesto il permesso giornaliero bisogna anche seguire delle regole per preservare l’ambiente. Il limite di raccolta è di 3 Kg e non si possono raccogliere i porcini che hanno una cappella inferiore ai 3 cm. E’ l’Appennino la patria dei funghi, in particolar modo una striscia di terra tra la Lunigiana e la Val di Taro, condivisa tra Emilia e Toscana e affacciato sull’entroterra ligure. Qui il fungo porcino ha ottenuto, ed è l’unico caso in Europa, l’investitura dell’IGP. Crudo, secco o sott’olio, in ricette semplici o come ingrediente fondamentale in piatti di cucina creativa, il porcino fa impazzire i molti che corrono a cercarlo nei boschi approfittando delle ultime giornate di sole e quelli, più pigri che si accontentano di acquistarlo nelle botteghe che lo vendono sia fresco sia lavorato o che programmano delle soste golose nelle buone tavole della zona.

E il
tartufo? Altro grande protagonista dell’Autunno, il più pregiato senza dubbio, tanto da essere definito il "diamante della cucina" da
Brillat Savarin celebre gastronomo francese che già due secoli fa lo appellava così. La definizione si rivela di fatto attualissima, non solo tartufo e diamante si sviluppano entrambi dentro la terra, fino a diventare quanto di meglio la natura offra nei rispettivi settori, ma oramai hanno in comune anche il prezzo ... non è uno scherzo. Del resto non si possono non riconoscere al tartufo delle qualità e delle caratteristiche uniche, una ricchezza di profumi sconosciuta ad altri alimenti e un tesoro che contribuisce all’unicità del nostro Paese grazie alla varietà pregiata del tartufo bianco che non esiste in nessun’altra parte del mondo. Bello non è di sicuro, la sua forma non è armonica o graziosa come quella dei funghi, somiglia più che altro a una patata non troppo riuscita, tuttavia il tartufo è un fungo, non un fungo epigeo come tutti gli altri che abbiamo nominato , ma un fungo ipogeo (appartiene al genere Tuber) che sviluppa tutto il suo ciclo vitale al buio sottoterra. Vegetando sotto terra il tartufo prende una forma globosa più o meno irregolare (in alcuni casi può arrivare ad avere le dimensioni di un’arancia). Come può il tartufo compresso sotto terra liberare le spore in modo che si spargano nell’ambiente circostante e germinare? Nel caso degli altri funghi è semplice: lasciano cadere le spore sul terreno e poi ci pensano gli animali, gli insetti, il vento e la pioggia a trasportarle. La Natura ha dotato però il tartufo di una risorsa di sopravvivenza unica: il profumo. Quando è maturo il tartufo emette il suo aroma inconfondibile e intensissimo capace di raggiungere la superficie e solleticare l’olfatto finissimo degli animali. Una volta localizzato il prelibato boccone sono loro a cibarsene, dopo avere scavato sotto terra, e a diventare involontari vettori delle spore. Uno dei modi migliori per soddisfare la voglia di tartufo è quella di frequentare le numerose fiere e sagre ad esso dedicate che lo vedono protagonista in tutta Italia, soprattutto nel periodo autunnale. Le manifestazioni più importanti sono quelle che si tengono ad
Alba, in
Piemonte e ad
Acqualagna nelle
Marche. Nata nel 1929 con il nome di
"Fiera-Mostra Campionaria a premi dei rinomati tartufi delle Langhe", la Fiera di Alba è diventata una manifestazione a carattere Internazionale nel 2003 con la costituzione dell’Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, una associazione con lo scopo di organizzare e promuovere la Fiera del Tartufo d’Alba. La Fiera si svolgerà dal 27 ottobre all’11 novembre con un calendario fitto di manifestazioni culturali, feste, sfilate in costume a fare da contorno a un appuntamento che permette di immergersi totalmente in un’atmosfera magica con la possibilità di gustare il tartufo in mille modi diversi accompagnato dai prestigiosi vini di Langa e Roero. Acqualagna propone invece tre appuntamenti nel corso dell’anno. Passate la Fiera del Tartufo Nero in febbraio e quella di agosto dedicata al Tartufo Estivo, manca l’appuntamento con il tartufo autunnale che si svolgerà il 28 ottobre e il 1,2,3,4,10,11 novembre. Gli stand espositivi sono circa un centinaio, la Piazza centrale si trasforma in un salotto dove solo qui si possono ammirare, annusare e acquistare quintali su quintali di tartufo fresco per non tralasciare tutti gli altri prodotti di qualità (salumi vino miele e formaggio) prodotti nella zona. Un salone del gusto firmato Qualità ma, soprattutto, Tradizione, Storia, Sapore autentico.
E’ di ieri la notizia che il Fico d’India ha ricevuto il marchio DOP. Finalmente la città di San Cono, tra Caltagirone e Piazza Armerina, la capitale del fico d’india in Italia ha ottenuto la denominazione di origine protetta con cui vengono tutelate l’origine, la peculiarità, le caratteristiche del fico d’India. In ottobre il verde intenso delle grandi pale dei fichi d’India è spruzzato di infinite sfumature rosse, gialle e arancioni. Pieni di spine i fichi d’India sembrerebbero volere demoralizzare chiunque a raccoglierli. Il cuore del frutto però a differenza della scorza è dissetante e polposo soprattutto nei frutti che le piante producono all’inizio dell’autunno. Il nome della pianta rivela la provenienza lontana da quelle terre che Cristoforo Colombo aveva scambiato per le Indie. La pianta, appartenente alla famiglia delle Cactacee, era sacra agli Aztechi che la chiamavano nopalli e arrivò in Europa alla fine del Cinquecento. All’inizio venne coltivato solo come pianta ornamentale nei giardini, negli orti della nobiltà e nei conventi. Ma quando i Borboni lo importarono in Sicilia trovò le condizioni ottimali per prosperare tanto che divenne ben presto parte integrante del paesaggio. Quasi un miracolo della natura, senza tronco, senza rami e senza foglie il fico d’india si radicò nella terra e nella cultura dell’isola dove, ben presto, divenne anche elemento decorativo delle ceramiche di Caltagirone, negli affreschi e nei dolci di marzapane. Di questa pianta i siciliani impararono a utilizzare tutto: le pale sostituivano il coccio nelle case più povere, si dava come foraggio alle bestie quando nei mesi più caldi l’erba scarseggiava. Si sfruttavano anche le qualità mediche della pianta, la pala si tagliava a metà e si applicava come cicatrizzante sulla pelle ma serviva anche a curare l’ulcera, mentre, con i fiori gialli raccolti in primavera, si otteneva un decotto dalle proprietà diuretiche e purificanti. Da circa una trentina d’anni alla produzione familiare si è affiancata quella su larga scala e la Sicilia è diventata il più importante produttore di fichi d’India dopo il Messico con 1500 ettari coltivati e una produzione di 450.000 quintali l’anno. E i frutti più belli sono quelli dell’autunno, chiamati i Bastarduni. Durante la raccolta bisogna vestirsi di tutto punto con guanti e tuta per proteggersi dalle spine. Il fico d’India viene utilizzato per la preparazione di numerosi dolci tra cui la mostarda o i mustaccioli, la marmellata di fichi d’india, i geli di fico d’India anche se il modo migliore, diciamoci la verità, per gustare i fichi d’India, è quello preferito dai siciliani: al naturale, appena colti, sodi, gustosissimi e dolci, quelli che si trovano nei mercati o sui carrettini, agli angoli del paese o ai bordi delle strade dove hanno preso colore e sono maturati al sole tiepido di ottobre.
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