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C'era una casa tanto carina

I colori delle pareti sono ancora da decidere, ma il progetto c’è, e in autunno inizieremo i lavori: trasformiamo la casa che mia nonna, andandosene via, ci ha lasciato, in un bed and breakfast. È in un palazzo con gli stucchi rosa, a Roma, in una via del centro che prende il nome di un poeta, ci vai a piedi dalla stazione. Vedete, in questa foto degli anni Novanta: ha le persiane in legno, i soffitti alti, la luce giusta. La metro è vicina.

Lei la comprò in età da pensione, con i risparmi di una vita segnata dalla guerra, dopo anni di «pigione». A 200 milioni di lire. Io, tra quelle mura, ho imparato (male) a impastare uova e farina su una tavolozza di legno, e che un corridoio finisce di essere un campo di calcio quando s’infrange la porta di vetro.
Ma ho imparato anche come certi di noi – quelli che vanno verso i trent’anni con il passo incerto di un lavoro che ancora non c’è, o quando c’è è precario, e mugugnano su quanto sono stati più fortunati invece i genitori, che con il diploma in ragioneria sono diventati direttori di banca – debbano ricredersi.
Per esempio: sono scesa al bar dell’angolo, per capire se la signora al bancone sarebbe stata disposta, dietro pagamento anticipato di un blocchetto di tagliandi, a preparare la colazione agli ospiti che sarebbero venuti, qualora avessero voluto farla all’aperto. Lei, allora, ha tirato fuori un cestino di paglia pieno di bigliettini da visita. «Ne curo sette o otto, qui intorno: e quasi tutti sono gestiti da ragazzi come te, nipoti di signore che qui venivano a comprare il latte».
Chiamatela come volete. Deformazione professionale. Spicciola curiosità femminile. Desiderio. Io, di questi giovani che si erano rimboccati le maniche e avevano saputo fare di un bene ereditato il proprio rimedio anti-crisi (di successo), volevo sapere tutto: quanti fossero, quanti anni avessero, come c’erano riusciti, se ci campassero, che colore avessero scelto per le pareti.


Così ho chiesto aiuto a Giambattista, di bed-and-breakfast.it, 12 mila gestori iscritti. E ho conosciuto la storia di Marco Scurati, il fratello di Antonio lo scrittore. Una sera come tante sulla tangenziale di Milano, di ritorno dopo la riunione di marketing, ha cambiato strada: via, verso la casa abbandonata dei genitori, a Venezia. La trasformerà di lì a poco in un ritrovo per amanti della laguna. Per Fernanda, il Tre Gigli di Firenze è stato un regalo dei genitori. Oggi è il suo luogo dove gira il mondo «senza muoversi, come Giulio Verne». I nonni, a Stefania, hanno lasciato invece una delle più antiche case rosse di Riposto, tra Catania e Taormina. L’affittavano ai vacanzieri in villeggiatura. Lei, a 35 anni, con una laurea in Lettere, non aspetta più con ansia la prossima supplenza. Guido ne aveva 30, quando nel 2002 ha preso il vecchio molino tra Alba e Asti dove gli avi braccianti portavano il grano nelle macine di pietra, e l’ha trasformato in un «posto fatto per il cuore nelle terre di Fenoglio e Pavese». Piccola è Jessica, 21 anni, amari i tempi per i genitori in fabbrica: «Lasciare la casa di mio nonno vuota, oltre a essere una spesa, era davvero triste». Così ha messo un’insegna fuori. Cà dei merli, l’ha chiamata. È nel verde di Prati, Vezzano Ligure. Da ottobre a marzo, quando chiude e lei finisce di indicare ai suoi ospiti sagre e spiagge, studia all’università. Il Vecchio pioppo di Praia a Mare, lo gestisce Gaetano: l’aveva costruito il bisnonno minatore in pieno ’800 e a 100 metri dalla spiaggia di Calabria. Galaria, 34 anni e una villetta a Pergusa, minuscola frazione di Enna, in Sicilia con il nonno si era messa d’accordo anche sul nome: Casa-blanca. Paola, invece sta insegnando l’accoglienza ai figli: la chiamano la Locandiera di Marepietra, nell’antico casale di Lerici. Emiliano a Trastevere ha aperto al Tamburrino. E in quelle stanze ci girava bambino, le domeniche.

Insomma, solo a fidarci di un (primo) feedback, il 2% dei bed and breakfast, in Italia, è in mano a giovani under 35, che hanno avviato l’attività tra mura avute in eredità da parenti scomparsi o generosi.
Io, per ora, ho «una casa tanto carina», (con il soffitto e con la cucina, per fortuna), ma se non mi ci metto d’impegno, rischio di finire in «via dei matti numero zero». Nell’incertezza del resto, ho iniziato dai fermaporta: tre sassi di mare dipinti, comprati al centro di Trapani, uno per ogni stanza. Vi ho detto tutto.
Quindi, aiutatemi. Voi come lo immaginate un bed and breakfast? Come lo fareste?

Lavinia Farnese
fonte: Vanity Fair


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