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Tutto ciò che c’è da sapere sulla Tassa di Soggiorno

Tutto ciò che c’è da sapere sulla Tassa di Soggiorno

Da molti anni, ormai, le persone che pernottano in determinate strutture ricettive hanno imparato a conoscere la cosiddetta tassa di soggiorno. In realtà sarebbe più opportuno chiamarla imposta di soggiorno, in quanto l’ente pubblico che effettua coattivamente il relativo prelievo non concede in cambio alcun servizio al cittadino, come avviene invece per le tasse. Da questa premessa bisogna partire per una definizione corretta della fattispecie in esame, alla quale, comunque, d’ora in poi ci riferiremo indistintamente con i termini “tassa” e “imposta”, secondo l’uso comune.

Cominciamo col dire che il tributo è corrisposto dai clienti di hotel, bed and breakfast, ostelli e persino campeggi situati nei capoluoghi provinciali, nelle città d’arte o nelle località a elevata affluenza turistica.

In Italia lo ha introdotto il Decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 (“Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale”), che concede ai Comuni la possibilità di istituirlo o meno. E sono gli stessi Comuni a stabilirne le modalità di applicazione. Alcuni prevedono una quota fissa, diversificata in base alla tipologia di struttura (formula più diffusa). Altri, una quota variabile in base al costo della camera e/o al potenziale storico-artistico del luogo. Altri ancora, una quota unica, uguale per tutte le strutture.

Ulteriori differenze sono poi associate alla durata della permanenza. Il regolamento comunale può infatti tassare i visitatori fino al trentesimo giorno di pernottamento, o soltanto per i primi cinque. Ma può pure omettere la previsione di un limite massimo, o limitare la riscossione a un certo periodo (alta stagione, per esempio). In ogni caso, la tassa si somma al costo della camera, dal quale non va mai scorporata. Il cliente, dunque, la versa direttamente al locatario. Costui, in seguito, la gira al Comune, che utilizza il gettito complessivo – o dovrebbe utilizzarlo – per finanziare interventi di manutenzione, fruizione e recupero del patrimonio culturale e ambientale, nonché dei relativi servizi pubblici.

Insomma, i Comuni godono di ampia discrezionalità quanto al calcolo dell’importo. La tariffa giornaliera, deliberata dal Consiglio municipale, varia in genere tra 1 e 5 euro a persona. A breve, però, il tetto massimo (fissato dal D.lgs. 23/2011) potrebbe risultare raddoppiato nelle località dove il numero dei turisti supera di venti volte quello dei residenti. È quanto statuisce un emendamento al Decreto fiscale 2020, attualmente in fase di studio. Se passasse, non pochi Comuni avrebbero facoltà di riscuotere fino a 10 euro per notte. Non così nelle città più grandi, dove l’amministrazione è già autorizzata ad aumentare la richiesta oltre i canonici 5 euro (si pensi ai 7 euro di Roma per gli hotel a cinque stelle).

Tutto ciò che c’è da sapere sulla Tassa di Soggiorno - Foto 1

L’imposta è pagabile dal turista in contanti o con carta, all’atto del check-out. Dal canto suo, il gestore della struttura deve preventivamente informare i clienti, tramite appositi avvisi, dell’importo e delle esenzioni (di cui parleremo tra poco), per poi rilasciare una ricevuta nominativa, oppure inserire la relativa somma in fattura come “operazione fuori campo Iva”. Quindi scatta per lui l’obbligo di dichiarare al Comune, nei termini stabiliti dallo stesso (in genere entro quindici giorni dalla fine di ciascun trimestre solare), quante persone ha ospitato nel periodo precedente, la durata dei rispettivi soggiorni, l’entità e gli estremi delle riscossioni, nonché altre, eventuali informazioni utili al computo della tassa. Tale dichiarazione si rende con la modulistica predisposta dall’ente locale, al quale va di norma ritrasmessa per via telematica.

È il preludio al versamento nelle casse comunali, da eseguire entro i medesimi termini e con le seguenti modalità, tra loro alternative: direttamente agli sportelli della tesoreria comunale o alle agenzie di credito convenzionate; procedure on-line approntate dal Comune; bonifico bancario; bollettino di conto corrente postale. In caso di adempimento tardivo, il gestore che voglia regolarizzare la propria posizione è tenuto a corrispondere anche gli interessi moratori. E se omette, in tutto o in parte, di pagare? Be’, sono guai. Oltre a una sanzione pecuniaria tra i 25 e i 500 euro, rischia infatti una condanna per peculato, reato penale che prevede addirittura il carcere: si va da sei mesi a tre anni di reclusione per chi consegni il denaro dopo averne fatto uso; da quattro a dieci anni per chi non lo consegni e non ne ammetta l’appropriazione.

Nemmeno al cliente conviene sottrarsi. Qualora lo faccia, va incontro a una multa che oscilla sempre tra i 25 e i 500 euro (proporzionale all’entità dell’ammanco), sommata all’imposta, che resta a suo carico. Può comunque rifiutarsi di pagarla, l’imposta, compilando e firmando un modulo fornito dal Comune. In tal modo si assume la responsabilità dell’omissione e accetta il rischio di incorrere nella richiesta di rimborso e nella sanzione amministrativa. Il gestore, invece, non rischia nulla. Dovrà solo comunicare all’ente locale le generalità del cliente e l’ammontare della quota non riscossa. Un valido strumento di lotta all’evasione della tassa è inoltre offerto dal cosiddetto Decreto Crescita (convertito in Legge 58/2019): attraverso l’istituzione di un database delle strutture ricettive e degli immobili destinati a locazioni brevi, condiviso tra Agenzia delle Entrate e Comuni, questi ultimi potranno verificare, direttamente e autonomamente, il corretto pagamento effettuato o meno dai visitatori.

Sono infine contemplate specifiche dispense per alcuni clienti, a cominciare dai residenti nel territorio comunale. Poi, in base a quanto stabilito dai singoli regolamenti territoriali, risultano esenti: i minori sotto i dieci anni (talora fino a 14) e gli anziani sopra i 65; i portatori di handicap, i malati gravi e i degenti di strutture sanitarie, con rispettivi accompagnatori e assistenti; chi soggiorna negli ostelli della gioventù; il personale delle forze armate; i dipendenti comunali; gli autisti di pullman e le guide turistiche. Ovviamente, per accedere alle esenzioni bisogna presentare certificati, attestati e documenti che dimostrino l’appartenenza alle categorie citate.