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Le recensioni on line sono legali? Il parere dell’avvocato

Le recensioni on line sono legali? Il parere dell’avvocato

È possibile far rimuovere le recensioni ritenute dannose, diffamatorie o calunniose? Come ci si può difendere? I portali come TripAdvisor o Facebook e Google, possono essere chiamati in causa in questi casi?

In un'epoca in cui i leoni da tastiera diventano sempre più numerosi e sempre più aggressivi, è opportuno tutelare preventivamente il proprio lavoro e la propria struttura ricettiva. Il proliferare di portali di settore offre sicuramente una visibilità che prima di internet era inimmaginabile ma mette a disposizione di gestori e clienti un'arma a doppio taglio, quella della recensione on line.

Se è vero infatti che una recensione positiva incrementa le prenotazioni, è altrettanto vero che una recensione negativa può determinare una diffidenza da parte di potenziali nuovi clienti, che potrebbero alla fine optare per un'altra struttura nella stessa area. E in questo senso la cronaca ha documentato più volte casi di false recensioni ad opera di concorrenti sleali che per favorire la propria attività, hanno cercato di danneggiare quella del gestore vicino.

Ecco quindi che la prima cosa da valutare nel caso si sia ricevuta una recensione negativa è la veridicità di quanto scritto in termini di fatti concreti e non di valutazioni personali.

Sono legali tutte le recensioni pubblicate nella misura in cui rappresentino un'esperienza del cliente”, afferma l'avvocato Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia, esperto in diritto informatico e del web.

Sono infatti lecite tutte quelle recensioni scritte in seguito al servizio ricevuto. Facciamo un esempio: nel caso di un B&B sono ammessi dalla legge tutti i commenti scritti dai clienti che abbiano effettivamente pernottato nella struttura in esame, salve poi le valutazioni sul contenuto. “Sono illegali invece le recensioni inventate – spiega l'avvocato Tassitani Farfaglia – di chi critica facendo riferimento a un'esperienza mai avvenuta o che esuberi rispetto a un concetto astratto”. “In questo caso bisognerà valutare la recensione illecita poiché a seconda del contenuto si potrà procedere civilmente o penalmente. Se la recensione risulta diffamatoria infatti – continua l'avvocato dal suo studio a Padova – si profila il reato di diffamazione con l'aggravante data da un atto di pubblicità”.

Il reato di diffamazione è previsto dall'articolo 595 del codice penale. La diffamazione è quell'atto con cui una persona offende la reputazione di un'altra, in sua assenza e davanti ad almeno due altre persone. Il codice penale prevede per questo reato la reclusione in carcere fino a dodici mesi e una sanzione pecuniaria fino a € 1032,91.

L'articolo 124 del codice penale stabilisce che la persona diffamata possa presentare querela entro tre mesi dal momento in cui viene a conoscenza del fatto. Oltre tre mesi non può più querelare.

Il termine di prescrizione che si calcola dal momento del reato è invece di cinque anni, ma, essendo la diffamazione anche un reato di natura penale, ci possono essere tempi di prescrizione anche più lunghi.

Con l'accessibilità diffusa a internet si è verificata negli ultimi anni una crescita esponenziale dei casi di diffamazione, per esempio via Facebook. Altrettanto è avvenuto su portali di settore come TripAdvisor.

L'articolo 595 del codice penale, al terzo comma, sottolinea che per diffamazione si intende un'offesa recata a mezzo stampa o tramite qualsiasi altro veicolo pubblicitario, dunque è ragionevole comprendere anche la diffamazione via Facebook, Twitter o qualsiasi altro portale o social network. La normativa sulla diffamazione quindi, si applica anche al reato commesso a mezzo internet.

Affinché possa configurarsi il reato di diffamazione, occorrono questi tre elementi:

  1. un'offesa arrecata a una persona;
  2. l'assenza di questa persona;
  3. la presenza di almeno due testimoni. Se la diffamazione avviene a mezzo stampa o a mezzo internet, di dominio pubblico, la condizione sussiste.

Entro tre mesi dal momento in cui si viene a conoscenza della diffamazione, si ha la possibilità di sporgere querela presso il comando della polizia. Si instaurerà quindi un processo dove si figurerà come parte lesa.

Prima di arrivare a ciò però ci sono altre possibilità: “Come primo atto – afferma l'avvocato Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia – ci si può rivolgere formalmente all'editore, da intendersi in senso lato, quindi il responsabile del sito in questione, e presentare un'istanza, secondo le linee guida del portale, del motore di ricerca o del social network e nella maggior parte dei casi questo è un atto sufficiente a ottenere che la recensione venga rimossa. Se ciò non avviene, si individua il recensore a cui si farà presente la volontà di perseguirlo davanti all'autorità giudiziaria in base al contenuto illecito comunicato”.

Ma quali sono i tempi e i costi per tali azioni legali e gli esiti sperati? “In caso di mediazione – spiega l'avvocato Tassitani Farfaglia – c'è un obbligo di pronuncia dell'organismo competente entro 30 giorni dal deposito dell'istanza e sottolineo che di solito una comunicazione ufficiale sortisce un risultato costruttivo”.

E per quanto riguarda la posizione dei gestori dei portali? “Esiste la responsabilità editoriale – afferma l'avvocato dello studio padovano – quindi rischiano le stesse sanzioni del recensore: risarcimento economico del danno e/o pena di reclusione in caso di reato penale”. “Chiaro che tutto il procedimento ha un costo, solo il deposito di una querela non richiede il patrocinio, altrimenti per una diffida si paga poco più di 100 euro, per una mediazione circa 1.000 euro e via via a salire a seconda della gravità del caso e dei tempi necessari per arrivare a sentenza. Vige però il criterio di soccombenza in base al quale le spese legali, al termine di un processo, sono a carico appunto del soccombente, cioè di colui giudicato colpevole del reato contestato”.

C'è da dire che il margine di discrezionalità del giudice in questi casi è molto ampio e non è raro dunque assistere a una disparità di valutazione in casi che sembrano simili.

Per tutelare la propria attività è quindi opportuno valutare preventivamente una polizza assicurativa che preveda anche la copertura delle eventuali spese per casi analoghi, in modo da evitare di dover rinunciare a far valere i propri diritti per mancanza di risorse economiche.

Infine una precisazione: contrariamente a una voce erroneamente circolata più volte on line, il reato di diffamazione non è stato depenalizzato. È il reato di ingiuria (“l'offesa all'onore e al decoro di un individuo, che è presente al momento dell'ingiuria”), previsto dall'articolo 594 del codice penale che è stato depenalizzato dal d. lgs. n. 7/2016, ma non quello di diffamazione.
 

Chi è il nostro intervistato?

L’avvocato Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia è nato a Padova il 14 maggio 1987, dove ha il suo studio. Si è laureato a pieni voti nel luglio del 2011 presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma.
Da allora approfondisce con attenzione e costanza temi legati a vari ambiti legali tra cui diritto Informatico e diritto delle tecnologie con particolare interesse verso le interazioni in rete, soprattutto attraverso portali e social network.