Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha annullato la circolare del Ministero dell’Interno del 18 novembre 2024 che imponeva alle strutture ricettive l’obbligo di identificare fisicamente gli ospiti al momento del check-in. La sentenza, pubblicata il 27 maggio 2025, ha accolto il ricorso presentato dalla Federazione FARE, ritenendo la circolare non coerente con il quadro normativo attuale e priva di motivazioni sufficienti.
Secondo i giudici, l’identificazione “de visu” non trova fondamento nell’articolo 109 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, modificato nel 2011 proprio per semplificare gli adempimenti delle attività ricettive. L’obbligo introdotto dalla circolare è stato giudicato sproporzionato, inefficace dal punto di vista della sicurezza pubblica e non supportato da dati oggettivi.
La sentenza mette in luce come tale obbligo sia in contrasto con il processo di semplificazione avviato dal decreto legge n. 201/2011, che ha favorito l’utilizzo di strumenti digitali anche nelle procedure di accoglienza. Non esiste, secondo il TAR, una dimostrazione che l’identificazione fisica migliori in modo significativo le garanzie di sicurezza, né le motivazioni legate all’aumento delle locazioni brevi o agli eventi straordinari come il Giubileo sono risultate sufficienti a giustificare una misura così invasiva.
La decisione conferma quindi la legittimità del check-in da remoto, ormai ampiamente diffuso e richiesto nel comparto extralberghiero, a patto che resti conforme alle regole vigenti. Si tratta di un passo importante nel dibattito sulla digitalizzazione del settore ricettivo, che coinvolge tanto i grandi alberghi quanto i piccoli operatori indipendenti.
Il decreto legge del 2011 ha infatti introdotto regole più snelle, stabilendo che non è più necessario controllare di persona i documenti degli ospiti: è sufficiente raccogliere correttamente i dati e trasmetterli alla questura. È proprio questa semplificazione ad aver reso illegittima la circolare del 2024, che pretendeva di reintrodurre un obbligo ormai superato.
In questo contesto, è inevitabile tornare anche al principio sancito dall’articolo 3, comma 1, del D.L. 138/2011, convertito nella legge 148/2011: "Comuni, Province, Regioni e Stato, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di (fra l'altro): a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica".
La norma stabilisce che l’attività economica privata è libera e che è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, salvo specifici casi legati a sicurezza, salute, ambiente o altri interessi fondamentali. Questo principio viene però troppo spesso ignorato nella legislazione delle piccole attività extralberghiere, soggette a una crescente e frammentata quantità di adempimenti che ne ostacolano lo sviluppo.
Alla luce di questa sentenza, l’auspicio è che si avvii finalmente una revisione organica delle norme che regolano il settore, semplificando ciò che è diventato eccessivamente complesso, senza rinunciare al rispetto della legalità, ma restituendo dignità e libertà a chi accoglie con serietà e responsabilità.